Vivere con un depresso: istruzioni per l’uso

Tutti noi abbiamo sperimentato momenti in cui ci “sentivamo giù”, eravamo demotivati e non avevamo voglia di fare nulla e vedere nessuno. Sono momenti: appunto. Situazioni piuttosto diffuse che come arrivano se ne vanno ed hanno in genere una causa esterna: ovvero è accaduto un fatto che ci ha destabilizzato ed abbiamo avuto bisogno di tempo per trovare una soluzione, riprogrammarci e ripartire. Fin qui tutto normale. Eppure già in una situazione transitoria, quante cose ci dicevano gli altri che ci davano fastidio? A volte anche il loro interesse verso di noi. Immaginate quindi quando parliamo di depressione clinica ovvero di un disturbo dell’umore certificato…

I dati sono allarmanti vendono colpite oltre 120 milioni di persone l’anno molte delle quali optano per il suicidio quando la vita diventa insopportabile da vivere. Quindi è molto probabile che intorno a noi possiamo avere qualcuno che soffra di questa patologia e sperimentare ogni giorno quanto sia difficile la convivenza. Ecco quindi qualche “istruzione” per evitare almeno di fare ulteriori danni o avere la sensazione di sentirsi inutili se vogliano aiutare un amico o un familiare.

Innanzitutto chiariamo una cosa: alla persona depressa (intendo depressa sul serio!) non è vero che manca di forza di volontà, che sia debole o pigra. La verità  che non ha proprio la capacità e le risorse per cambiare le sue sorti. E’ cosciente della sua situazione e non gli piace, spesso se ne dispiace, ma gli manca quel qualcosa che dovrebbe scattare, ma non scatta.  

Quindi andare a dire ad una persona depressa TIRATI SU è causa di umiliazione, anche se siete animati da buone intenzioni non otterrà alcun risultato. Ho visto persone anziane far vedere a persone depresse che malgrado l’età e gli acciacchi reagivano e quelle che le guardavano come fossero marziani. Persone ricche (depresse) che dicevano a persone evidentemente in difficoltà beato te! Così tanto per fare un esempio! Essere in condizioni economiche vantaggiose non riduce il rischio perché la perdita di voglia di vivere, va oltre alle situazioni di necessità e le sovrasta.

La persona vive un disagio di dimensioni bibliche indipendentemente dalla realtà e nulla può aiutarlo a combattere quel disagio neanche le buone intenzioni e l’esempio. Queste persone vivono con pensieri negativi, umore negativo e come se nessun altro modo di pensare fosse possibile, come se loro non avessero  nessun controllo su ciò. Ne sono completamente pervasi. Capite quindi che dire tirati su risulta un’offesa.

La tristezza e la depressione camminano di pari passo e la persona depressa tende a catalogare i suoi ricordi sulle esperienze negative o vissute come tali. Eventi negativi sono predominanti nella realtà vissuta e nei ricordi e non importa se nella realtà le cose erano oggettivamente migliori da come la persona le ha vissute. E’ come se le cose spiacevoli avessero un peso specifico maggiore (di molto!) rispetto a quelle piacevoli. Quindi anche in questo caso dire ad una persona CERCA DI ESSERE FELICE non viene interpretata come tale, ma ancora come “affossamento” della sua sensazione (come una critica) con ulteriori ripercussioni sulla sua autostima.

In questa particolare condizione psicologica i pensieri, le emozioni  ed i comportamenti risultano essere disfunzionali e dannosi con l’aggravante che si autoalimentano!

I vissuti negativi avvolgono tutta la rappresentazione di un  Sé  che risulta difettoso e fa percepire il mondo e le persone circostanti come ostili con una visione del futuro inutile e senza speranza. Ogni volta che diciamo c’è chi sta peggio di te o minimizziamo per il depresso è come scendere un altro gradino verso il basso. Con farmaci e terapia psicologica si ottengono ottimi risultati anche se in molti è radicata l’idea che il farmaco crei dipendenza e la terapia faccia bollare come malati mentali e quindi pazienti e parenti spesso passano anni prima di chiedere aiuto e molte volte non lo fanno neanche!

L’unico modo di stare con un depresso è lasciarlo parlare, creare una situazione empatica in cui la persona si senta accolta e non giudicata, ma questo non è facile perché si viene spesso sopraffatti dalla negatività e se sei una persona con una sana voglia di vivere tendi ad allontanarti. Non bisogna rinforzare i suoi vissuti, ma solo “farli uscire” senza prendere posizioni. La persona depressa finisce per sentirsi ed essere sempre più sola proprio per questi motivi. Quindi è giusto cercare di coinvolgere la persona depressa nelle attività quotidiane o meno, ma sicuramente la loro partecipazione sarà solo superficiale e con un niente ritorneranno nel loro mondo di disagio. Non sentitevi in colpa o inadeguati se vi state attivando nei confronti di un vostro genitore, amico o compagno e non ottenete risconto. L’unico sforzo che ha un risultato è avere la pazienza dell’ascolto e non farlo mai sentire solo. Vi avverto sarà davvero faticoso, ma se volte davvero bene a quella persona lo sentirà.

Lo Psicologo: chi, dove, come, quando e perché!

Sempre più persone si rivolgono allo psicologo per problematiche di diversa intensità. La recente situazione creata dalla pandemia ha, almeno in parte, sdoganato i tabù verso la psicologia. Lo psicologo inizia ad essere visto non solo come colui che accoglie in caso di fragilità, ma anche il professionista che aiuta a promuovere le proprie capacità, comprendendole e sostenendole. Insomma un nuovo capitolo della psicologia che è volta sempre più al benessere e allo sviluppo personale in un mondo che cambia molto velocemente.

CHI è lo o psicologo

Rispetto ad altre discipline la storia della psicologia è molto recente e possiamo inquadrarla verso la metà dell’Ottocento. La figura dello psicologo è stata regolamentata nel 1989 con l’Istituzione del relativo Ordine Professionale. Il percorso di studi comprende una laurea quinquennale (3 anni di magistrale e 2 di specialistica) ed un anno di tirocinio pratico a cui segue un esame di stato che permette di esercitare in ambito pubblico o privato. Sono numerose le aree d’intervento (scuola, sport, famiglia, lavoro, clinico ecc.), ma lo scopo comune è quello di favorire il benessere della persona, coppia o gruppo.

Sono numerosi i momenti della vita in cui si può avere necessità di un supporto esterno per gestire difficoltà, ansie e paure: quando ci troviamo ad affrontare momenti di disagio, lutti, controversie familiari ed intergenerazionali, ma anche si vuole comprendere meglio se stessi, gestire e superare situazioni del passato per vivere con maggiore serenità nel futuro.

DOVE e COME: Gli strumenti dello psicologo

Colloquio clinico: si svolge solitamente lo stesso giorno ed alla stessa ora convenuta con cadenza settimanale. Nel primo colloquio, detto incontro conoscitivo, si comprendono le motivazioni ed i bisogni della persona al termine del quale si stabiliscono obiettivi e termini del percorso.

Somministrazione di test, oppure utilizzo di tecniche di rilassamento e/o momenti di psico educazione.

In base alla tipologia del percorso si potranno anche proporre dei “compiti” da fare a casa (compilazione di un diario ecc.) da portare all’incontro successivo.

I tempi “tecnici” dipendono dalla problematica da risolvere e dall’adesione al programma.

Recentemente è possibile utilizzare la tecnologia anche per effettuare interventi a distanza attraverso piattaforme dedicate in video conferenza è così possibile effettuare incontri da remoto, per chi è impossibilitato a raggiungere lo studio del professionista o per chi abita fuori sede.

QUANDO

Non necessariamente bisogna essere vittime di abusi o essere affetti da dipendenze per chiedere l’aiuto di uno psicologo, ma ogni qualvolta ci siano alterazioni del comportamento, sbalzi di umore persistenti, chiusura sociale. Fondamentale per una crescita personale, maggiore consapevolezza dei propri limiti e capacità, migliorare le interazioni sociali nella famiglia e nel lavoro. Liberarsi di ansie, paure o pesi emotivi che a volte si tramandano per generazioni.

PERCHE’

Scegliere di andare dallo psicologo è un atto già di per sé terapeutico, decidere di chiedere aiuto richiede coraggio ed è il primo passo per iniziare a prendersi cura di se stessi. Il tempo di ogni seduta (50/60 minuti) è un investimento per migliorarsi, per imparare a vedere le cose da angolazioni differenti e confrontarsi con un punto di vista alternativo al proprio e a quello del suo ambiente abituale. Fondamentale per raccontarsi, vedere i propri atteggiamenti e vivere le emozioni dandogli un nome.

Non mangiare le emozioni vivile

Tutti noi abbiamo provato l’effetto coccola di alcuni cibi quando siamo stanchi o delusi. Per qualcuno l’effetto di tali cibi, che tecnicamente vanno a stimolare le endorfine (neurotrasmettitori che inducono uno stato di benessere!) diventa una vera propria dipendenza o dovremmo chiamarla fuga?

Generalmente si mangia quando si ha fame, ovvero quando il corpo finisce l’energia disponibile, ma si mangia anche solo per gola, quando si è in compagnia, perché ci hanno insegnato a non lasciare il cibo nel piatto, ma anche quando siamo soli, siamo tristi, delusi, arrabbiati.

La lista a questo punto potrebbe essere molto lunga, ma cosa hanno tutte queste motivazioni eliminando la prima? Che in effetti la maggior parte delle volte non si mangia per il motivo giusto. Il cibo rappresenta il conforto e la via di fuga per situazioni che non abbiamo voglia di affrontare.

Oltre l’aumento di peso e le malattie correlate in questo modo si va a rinforzare un comportamento davvero lesivo che si autoalimenta tra soddisfazione (momentanea e falsa) ed i sensi di colpa (terribilmente veri)

I sensi di colpa si accumulano come polvere sotto il tappeto ed i kg aumentano fino a quando diventa sempre più difficile perderli e alla fine ci si arrende perché ormai la montagna è invalicabile.

C’è un modo per non arrivare a questo punto? Sicuramente è imparare a riconoscere le emozioni e le situazioni che ci fanno stare male. Un valido aiuto è il diario alimentare (ve ne ho parlato in mille modi!)  con il quale non si tiene conto solo dei cibi introdotti, ma anche di quanto, cosa e quando abbiamo mangiato per comprendere tutto il contesto ed imparare ad agire sul contesto e le emozioni derivate, non sul cibo come si suol fare. Infatti andare a controllare il cibo , quando si mangia per soffocare un’emozione, comporta solo stress che genera altra voglia di mangiare quindi è un sacrificio assolutamente inutile.

Psicologicamente parlando il vivere un’emozione è molto importante perché ci insegna a comprendere molto di noi. Farsi “attraversare dall’emozione” (rabbia, paura, vergogna…) serve a diventare più consapevoli dei nostri limiti e difficoltà. E’ indispensabile per venire in contatto con la parte più profonda di noi, il rischio è di vivere una vita solo e sempre in superficie e questo rende continuamente attaccabili dalle persone e dalle situazioni che generano sfiducia. Ogni volta che si scappa, e ci si rifugia nel cibo, non solo prendiamo in giro noi stessi come gli struzzi fanno nascondendo la faccia sotto la sabbia, ma ci rende sempre più vulnerabili oltre che in sovrappeso.

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International Yoga Day 2021

Oggi si celebra la Giornata Internazionale dello Yoga. Una ricorrenza mondiale istituita ufficialmente dall’Onu nel 2014 su richiesta del governo indiano, nella persona del suo premier Narendra Modi, che durante la 69esima edizione dell’Assemblea delle Nazioni Unite con un discorso ne aveva chiesto il riconoscimento. Da allora 175 nazioni  hanno sponsorizzato l’iniziativa ed ogni anno vengono promossi numerosi eventi in ogni paese.

“…lo yoga è un dono inestimabile dell’antica tradizione indiana. La pratica dello Yoga incarna l’unità di mente e corpo, pensiero e azione, moderazione e appagamento, armonia tra uomo e natura, e l’unione tra il singolo individuo e l’infinito. Lo yoga non riguarda solo fare esercizio fisico, ma ci permette di scoprire noi stessi ed il fatto che siamo un tutt’uno con la natura e con il mondo.  Proprio l’unione con il tutto, e quindi con il pianeta e l’universo, dovrebbe spingere l’uomo ad un maggior rispetto di tutto ciò che lo circonda, e questa consapevolezza potrebbe aiutare a risolvere il problema del cambiamento climatico.”

Marendra Modi (leader indiano)

La Giornata Internazionale dello Yoga viene celebrata il 21 Giugno per numerosi motivi: nella tradizione indiana in questa data si celebra il Dakshinayana una sorta di porta/passaggio che si apre verso la seconda metà dell’anno ed è favorevole per le buone intenzioni, per piantare semi (anche quelli del cambiamento) e purificare il corpo. Sembra poi che questa sia la data in cui Shiva abbia iniziato a trasmettere i suoi insegnamenti come guru. Da noi in occidente è il solstizio d’estate in cui si raggiunge il maggior numero di ore di sole dell’anno.

Saggezza antica: Il libro del TAO

Il libro che vi consiglio questo mese è IL LIBRO DEL TAO. Lo trovate (anche) in edizione super economica della Newton editore. Un’edizione integrale curata e tradotta da Girolamo Mancuso. E’ considerato uno dei testi più importanti dell’antichità. Viene definita la sintesi della saggezza e della profondità di pensiero. Un testo mitico quanto la sua origine. C’è una leggenda alla fonte della sua nascita che racconta che il libro nasce per pagare un pedaggio richiesto da un doganiere per permettere a Lao Tsu di lasciare la Cina. Si parla di virtù e di significato della vita… “per parlare di quel non essere che è all’origine dell’essere, ma di cui non si può tacere. Bisogna forzare le parole al di là delle loro normali capacità espressive…”

Vi lascio il testo 33 della prima parte per riflettere:

Colui che conosce gli altri è sapiente, colui che conosce se stesso è illuminato.

Colui che vince gli altri è forzuto, chi vince se stesso è forte.

Chi sa accontentarsi è ricco, chi agisce con energia è risoluto.

Chi non perde il proprio posto dura a lungo; chi muore, ma non è dimenticato è longevo.

Che tipo di fame hai?

La risposta dovrebbe essere scontata: mangio quando ho fame, ma nella realtà quante volte nella giornata mettiamo in bocca del cibo prima di aver sentito brontolare lo stomaco? Diversi tipi di fame possono portarci a mangiare, riconoscendoli potremo fare attenzione all’introduzione della quantità e della qualità del cibo.

Quando siamo a digiuno da varie ore il nostro corpo ci invia segnali per farci capire che l’energia immediatamente disponibile si è esaurita. Guardiamo l’orologio e sono le 13. Ora del pranzo. Se facciamo i calcoli magari abbiamo fatto colazione molto presto e non abbiamo avuto tempo di fare neanche uno spuntino. Effettivamente è ora di ricaricare il nostro corpo! Questa è la fame naturale o biologica. Se dovessimo darle una definizione è sicuramente il tipo di fame più “sana”.

A volte invece, anche se abbiamo mangiato da poco, basta un odore, un’immagine che possono scatenare la voglia di mangiare di nuovo. Avete fatto caso che a volte passando davanti una pasticceria o pizzeria si viene rapiti da una (spesso) irrefrenabile voglia di entrare e prendere qualcosa? Sono quelli che ho chiamato cibi invitanti perfettamente inutili alla nostra alimentazione, ma che ci attraggono perché coinvolgono il nostro olfatto o vista. Questo tipo di fame lo potremmo chiamare fame sensoriale.

Spesso è l’educazione che abbiamo ricevuto a governare i nostri comportamenti. Alcune persone pur avendo assecondato la fame biologica continuano a mangiare poiché gli hanno insegnato che “non bisogna lasciare nulla nel piatto”. In altri sono i pensieri a prendere il sopravvento del genere o tutto o nulla oppure niente pane e pasta. Oppure divento vegetariano così dimagrisco, le verdure non fanno ingrassare. Questa fame del pensiero è spesso governata da credenze errate e spesso deleterie per l’organismo.

Chi di noi non ha mai vissuto l’effetto consolatorio di alcuni cibi? Trovarsi con un barattolo di cioccolato in mano, perché delusi, stanchi o tristi rientra in quella che possiamo chiamare fame di emozioni. In effetti alcuni cibi come il cioccolato contengono sostanze che rilassano il nostro cervello. L’effetto calmante del cibo è però limitato per cui bisogna riconoscere questo tipo di fame poiché limitandosi a “mangiare le emozioni” l’unico effetto che avremo sarà quello di prendere peso, ma non risolverà i nostri problemi.

Puoi leggere questo articolo anche sulla mia rubrica Mind&Food su RomaOggi.eu il link dalla home page di questo sito!

Vivere vuol dire sapersi assumere dei rischi

Troppe persone si aspettano poco, chiedono poco, ricevono poco e soprattutto, si accontentano di poco… Se vorrete che la vostra vita assumi significato per voi, dovrete accettare di affrontare una certa dose di rischio.

La poesia che segue, rende perfettamente l’idea di quanto la vita sia sempre piena di rischi e quanto sia difficile per noi evitarli:

” Ridere è rischiare di apparire sciocchi

Piangere è rischiare di apparire deboli

Allungare la mano agli altri

è rischiare un coinvolgimento

Esprimere un sentimento

è rischiare di mostrare se stessi

Amare è rischiare di non essere amati

Vivere è rischiare di morire

Sperare è rischiare di rimanere delusi

Provare è rischiare di fallire

Ma i rischi devono essere corsi,

perchè il rischio più grande

è quello di non rischiare .

La persona che non rischia nulla,

non fa nulla, non ha nulla e non è nulla.

Ha perso la sua libertà

perchè ha rinunciato a rischiare .

E quindi a vivere.”

Fonte: web, autore sconosciuto

Autostima in pillole

(Abstract della diretta Fb del 6 maggio 2021)

L’autostima non è cosa di poca importanza. Quanto più vi amate e vi rispettate, migliore sarà la qualità della vostra vita. Emozioni e  pensieri possono influenzare la salute e quindi impariamo a volerci bene!

Ma l’autostima cosa è?

Lo dice la parola stessa: l’autostima è la valutazione che una persona dà di sé stessa. Questa non è un fattore statico, ma dinamico. Evolve nel tempo e subisce variazioni anche notevoli nel corso della vita.  Non si nasce con la giusta autostima e come una pianta essa va coltivata, curata, alimentata durante il corso dell’esistenza. Una sana autostima si manifesta nella capacità di percepirsi e di rapportarsi a sé stessi in modo realistico, positivo, rilevando i punti forti e quelli deboli, amplificando ciò che è positivo e migliorando quello che invece non lo è. Significa anche essere in grado di ammettere che c’è qualcosa che non va quando le circostanze lo richiedono.

Una persona con una sana autostima non è infatti perfetta, ma al contrario di chi non si rispetta abbastanza, sa come valorizzare le proprie abilità e capacità e come tenere sotto controllo i difetti e le parti del proprio carattere meno amate.

La sana autostima è indipendente dal giudizio degli altri. La bassa autostima nasce  da una discrepanza tra il se reale e quello percepito. Il sé ideale è rappresentato da ciò che si vorrebbe essere, dalle qualità che si desidererebbe possedere, mentre il sé percepito è l’insieme delle percezioni e delle conoscenze che possediamo su noi stessi. Il problema nasce quando la persona si rassegna al fato che non sarà mai come vorrebbe essere portando a smettere di lavorare su se stessi e lottare, peggiorando o semplicemente rimanendo quello che si è per tutta la vita.

Imparate a rivolgervi verso voi stessi in modo positivo e smettetela di dirvi cose come: nessuno mi accetta, sono brutto/a, non sono capace. L’importante è che cominciate ad acquisire la consapevolezza di come comunicate: siete sicuramente giudici impietosi con voi stessi. Nulla andrà per il verso giusto se le prime critiche provengono a voi!

Fate le cose che vi rendono felici. Prendere le vostre decisioni in base ai vostri desideri. Non aspettate l’approvazione degli altri. Non lasciate la vostra autostima in mano agli altri. Sebbene sia giusto desiderare che amici e familiari ci accettino e ci vogliano bene non potete dipendere dalla loro approvazione per essere felici.

Smettete di lamentarvi per ciò che credete manchi alla vostra vita, per il lavoro, il vostro fisico, valorizzate quello che avete. Smettete di pensate che i vostri difetti siano enormi o che siete in una posizione di svantaggio rispetto a chi vi circonda. Imparare ad accettarvi per quello che siete. Le vostre caratteristiche, le vostre qualità e i vostri difetti sono ciò che vi rende unici.

Imparate ad essere grati per quello che avete che si tratti del lavoro, la vostra famiglia, gli amici o le cose che possedete. A volte, basta cambiare punto di vista per essere felici, guardate da un’altra prospettiva: attorno a voi ci sono persone per le quali sarebbe un sogno avere ciò che avete voi.

Circondatevi di persone positive. Avere una rete di supporto è molto importante per l’autostima così come è importante chiacchierare con gli amici, condividere esperienze e creare ricordi che dureranno tutta la vita. Tenevi strette le  persone che vi sostengono e vi vogliono bene, allontanate le relazioni tossiche che portano a critiche negative fine a se stesse perché sono i grandi nemici della vostra autostima.

Parola d’ordine: valorizzate le vostre qualità, imparate ad essere generosi con voi stessi. E’ uno dei compiti più difficili da portare a termine, ma quando riuscirete a guardarvi con affetto e ad accettare chi siete, la vostra autostima migliorerà. Potete cominciare con una lista di tutte le vostre qualità. In un primo momento, avrete difficoltà a trovarle. Se non riuscite a sbloccarvi, chiedete aiuto ad un amico oppure a un membro della vostra famiglia alla fine avrete chiaro ciò che vi rende unici.

Nessuno è perfetto, tutti sbagliano. Cercare di eliminare tutti i difetti e cercare di fare tutto perfettamente non farà altro che rendervi infelici. Se vi concentrate troppo sui difetti, con il tempo comincerete a vedere la vostra vita da quella prospettiva. Questo modo di vedere la vita non è sano e non vi farà per niente bene.

Quando dovete pianificare qualcosa non cercate di andare oltre le vostre possibilità, concentratevi piuttosto a vivere. E’ giusto migliorarsi ed accettare le sfide, ma solo se questo vi diverte e vi fa stare bene. Un’autostima sana è la base di una bella vita. Cercate di impegnarvi per migliorare la vostra autostima e fatelo per voi stessi. Se doveste avere la sensazione di non fare la vita che invece desiderate, fate di tutto per cambiarla, ma fatelo in modo tale da vivere a pieno ogni momento.

Mantra del giorno da ripetere ogni giorno se necessario:
“Oggi decido che il resto della mia vita sarà la parte migliore”

Quattro chiacchiere a colazione (2)

QUATTRO CHIACCHIERE A COLAZIONE: La Rubrica del giovedì mattina in diretta Fb. Le registrazioni saranno disponibili sul mio profilo FB : Emanuela Scanu Psicologa.

Il prossimo appuntamento sarà giovedì 6 maggio alle h.7.00 per parlare di AUTOSTIMA.

Sarà accennato il concetto di autostima, del sè reale e quello ideale e vi fornirò un piccolo vademecum pratico per aumentare un pò alla volta la vostra autostima ogni giorno. Quindi preparatevi con foglio e penna e prendete appunti.

Contattatemi anche per proporre temi, fare domande o condividere le vostre esperienze.

Storia breve con morale (aprile)

Quando ero piccolo adoravo il circo, ero attirato in particolar modo dall’elefante che, come scoprii più tardi, era l’animale preferito di tanti altri bambini.

Durante lo spettacolo faceva sfoggio di un peso, una dimensione e una forza davvero fuori dal comune… ma dopo il suo numero, e fino ad un momento prima di entrare in scena, l’elefante era sempre legato ad un paletto conficcato nel suolo, con una catena che gli imprigionava una delle zampe. Eppure il paletto era un minuscolo pezzo di legno piantato nel terreno soltanto per pochi centimetri e anche se la catena era grossa mi pareva ovvio che un animale del genere potesse liberarsi facilmente di quel paletto e fuggire.

Che cosa lo teneva legato?

Chiesi in giro a tutte le persone che incontravo di risolvere il mistero dell’elefante; qualcuno mi disse che l’elefante non scappava perché era ammaestrato… allora posi la domanda ovvia: “se è ammaestrato, perché lo incatenano?” Non ricordo di aver ricevuto nessuna risposta coerente.

Con il passare del tempo dimenticai il mistero dell’elefante e del paletto. Per mia fortuna qualche anno fa ho scoperto che qualcuno era stato tanto saggio da trovare la risposta: l’elefante del circo non scappa perché è stato legato a un paletto simile fin da quando era molto, molto piccolo.

Chiusi gli occhi e immaginai l’elefantino indifeso appena nato, legato ad un paletto che provava a spingere, tirare e sudava nel tentativo di liberarsi, ma nonostante gli sforzi non ci riusciva perché quel paletto era troppo saldo per lui, così dopo vari tentativi un giorno si rassegnò alla propria impotenza. L’elefante enorme e possente che vediamo al circo non scappa perché crede di non poterlo fare: sulla sua pelle è impresso il ricordo dell’impotenza sperimentata e non è mai più ritornato a provare… non ha mai più messo alla prova di nuovo la sua forza… mai più!

A volte viviamo anche noi come l’elefante pensando che non possiamo fare un sacco di cose semplicemente perché una volta, un po’ di tempo fa ci avevamo provato ed avevamo fallito, ed allora sulla pelle abbiamo inciso “non posso, non posso e non potrò mai”.

L’unico modo per sapere se puoi farcela è provare di nuovo mettendoci tutto il cuore… tutto il tuo cuore!”