Le mie dieci riflessioni su “Genitori si cresce” il libro del filosofo femminista Lorenzo Gasparrini

Una delle presentazioni più interessanti e coinvolgenti dell’ultimo periodo. Gasparrini con le rappresentanti delle associazioni Città che legge e Amore è rispetto hanno saputo interagire magistralmente con il pubblico presente nelle magnifiche sale di Palazzo Altieri che ospitava l’evento.

Alcuni momenti della presentazione di GENITORI SI CRESCE di Lorenzo Gasbarrini edito da Super et opera viva

L’annoso problema: genitori e figli, modalità di relazione, disagi e comunicazione. Condivido con voi alcuni punti che ritengo particolarmente interessanti:

  • Il concetto di MODELLO ed ESEMPIO

Noi tutti per i giovani (anche per chi non ha figli!!!) dovremmo essere esempi virtuosi. Con il nostro comportamento permettiamo loro di apprendere dalla realtà, da qualcosa di reale e concreto anche se imperfetto. Un modello invece, proprio perché è tale, è irraggiungibile nella sua perfezione e quindi causa di frustrazione. Cerchiamo di essere esempi e non modelli per le generazioni future!

  • La FAMIGLIA sta cambiando

La tipologia di famiglia come l’abbiamo conosciuta noi nati tra gli anni “50 e “70 , ovvero composta da mamma, papà e almeno due figli, rappresenta oggi solo il 20% delle famiglie in Italia. Giusto o sbagliato? Non è importante bisogna però rendersi conto che siamo di fronte ad un cambiamento culturale e che, anche per la nostra costituzione è famiglia quando si vive sotto lo stesso tetto e ci si prende cura uno dell’altro. Da qui anche la definizione di Inverno demografico. Non si fanno più figli. In una società improntata sullo sviluppo personale non si è disposti a fare “sacrifici” a fare rinunce per i figli. Non ci sono politiche che sostengano la famiglia e spesso anche conquiste come i congedi parentali non vengono utilizzati per paura di ritorsioni sul lavoro.

  • Maternità e paternità

Non solo la legge, ma a partire dai Corsi pre-parto c’è poca attenzione verso la figura dei papà. I papà vengono esclusi in tantissime attività e riconoscimenti. Non possiamo poi lamentarci che i papà risultano assenti o poco presenti nel 70% dei casi, poiché spesso non vengono coinvolti e nessuno parla mai dei vissuti dell’uomo quando diventa padre o in altri momenti della vita dei figli. Anche a livello lavorativo un uomo che chiede un permesso parentale è visto come un alieno  spesso viene deriso o osteggiato in azienda. Non deve meravigliare che rimangano ai margini. Vanno coinvolti non solo fisicamente, ma anche emotivamente in ogni passaggio del divenire genitori.

  • Apprendere con l’esempio

“Ma io aiuto”. “Non è vero che non faccio nulla”. Due brevi frasi spesso dette da padri e figli come se la cura della casa fosse di assoluto appannaggio della mamma alla quale si concede “un aiuto” come un privilegio. Bisogna insegnare ai bambini a tenere in ordine la propria camera, a tenere bene gli oggetti di casa e custodirli, bisogna coinvolgerli nella preparazione del cibo a cominciare dalla spesa. La cura della famiglia è di tutti. Tutti partecipano, tutti danno, tutti ricevono. La cura è la capacità umana più importante si impara non lo abbiamo d’istinto come molti studi dimostrano.

  • Le PAROLACCE

Sono parole potenti. I bambini anche piccoli se ne rendono conto. Evitiamole poiché la potenza della parola è distruttiva. I bambini non comprendono il significato della parolaccia, ma si rendono conto dell’effetto che ottiene. Emette tante emozioni negative come rabbia e scherno. Non daremmo mai un’arma o un oggetto in mano ad un bambino che non è in grado di usare. Facciamo lo stesso con le parole. Bisogna insegnare loro le parole che fanno bene. Quelle piccole parole come grazie, prego, scusa, posso? Che si sentono sempre così di rado anche nelle così dette famiglie perbene!

  • La SICUREZZA dei figli

Dipende esclusivamente dal rispetto dei genitori verso i figli e viceversa e si ottiene con genitori sicuri ed accoglienti. Persone coerenti tra ciò che dicono e ciò che fanno. Un buon esempio che non si aspetta qualcosa in cambio dal figlio come “risarcimento” per l’investimento emotivo ed economico che ha avuto, ma che ama e cura. Che insegna ad amare e curare. Il genitore non può essere un amico, il rapporto non è paritario. Se siamo “pari” non possiamo insegnare più nulla a nostro figlio vuol dire che non siamo un valore aggiunto per lui siamo al pari dei suoi coetanei   questo non funziona!

  • Genitore di un genitore

Qualcosa che non avevo mai preso in considerazione, ma che probabilmente vivrò nel giro di pochi anni. Quando tuo figlio diventa genitore a sua volta e quindi diventi nonno cosa succede? Può essere un divertente triangolo di responsabilità. Dove i nonni sono complici con i nipoti, ma possono far passare tanti valori che dal genitore magari non si accettano. I nonni sono importantissimi e con le modalità di vita di oggi sono figure da riconsiderare non solo come “baby sitter”, ma per l’esperienza e la maturità.

  • Giovani, MORTE ED ONNIPOTENZA

I giovani , per fortuna, non hanno il concetto di morte. Nel momento in cui la vita esplode in loro l’idea della morte non è affatto considerata per questo si mettono spesso in situazioni limite. Non si rendono conto dei pericoli poiché non li prendono in considerazione. Correre in macchina, fare scherzi stupidi sono solo “divertimento” non considerano affatto le conseguenze di queste azioni e spesso trovano o provocano morte. Per questo sono necessari i “paletti” da parte dei genitori. I giovani non possono essere “buttati” nel mondo. Specie in questo mondo dove attraverso la tecnologia tutto è accessibile ed inaccessibile allo stesso tempo. I giovani hanno bisogno di guide sicure e le devono trovare nei genitori, ma anche nella scuola e nella società. Invece oggi i giovani sono lasciati alla deriva senza regole e senza indicazioni dove chi ha più da guadagnare spinge scelte inconsapevoli dei giovani solo perché le sentono condivise da altri. Basta un influencer da 100000 follower ad avere più autorevolezza di un genitore! Da qui nascono le challenge spesso rischiose che diventano un modo per superare i propri limiti e dimostrare di essere capaci ed in gamba, ma che possono avere risvolti drammatici che un giovane non sa prvedere.

  • Alla ricerca della NORMALITA’

Ricordate che per un giovane tutto è bianco o nero. Un giovane non conosce le sfumature per questo è così lapidario nei giudizi anche nei confronti dei coetanei. I giovani cercano la normalità. Ma cosa è normale? Ogni epoca storica ed ogni cultura ha una sua normalità quindi non è un valore universale. I giovani non lo sanno, lo impareranno con il tempo. I genitori hanno il compito di far vedere le differenze e far comprendere che possono essere un valore aggiunto e non oggetto di esclusione e di odio. Da qui nasce il fenomeno del bullismo dove il diverso, basta essere più basso di statura, o più in carne o vestito in modo diverso dalla massa, diviene oggetto di attenzioni pericolose.

  • Giovani e FALLIMENTO

In questo mondo dominato dalla tecnologia dove tanti contenuti sono disponibili e spesso non veritieri i giovani si sentono dei falliti se non vanno in vacanza in quel posto, se non indossano quelle scarpe, se non vanno a mangiare in quel ristorante, se non conoscono quel personaggio famoso, se non hanno abbastanza follower o like! Nasce grande frustrazione che si trasforma in rabbia spesso rivolta agli altri, ma anche verso se stessi. Gli atti di autolesionismo sono in aumento e mentre prima venivano compiuti in solitaria oggi si commettono in gruppo segno che certe sensazioni sono molto comuni.

“Come combattere lo stress. Prevenzione e benessere per una vita longeva e felice”

«Lo stress non è un nemico, è un messaggio» è il primo concetto che ci arriva durante il seminario svoltosi ieri a Milano nella Sala Pirelli di Regione Lombardia. Un momento di confronto prezioso e necessario a cui ha dato l’avvio il Consigliere Nicolas Gallizzi, con un augurio che ha fatto da cornice all’intera mattinata:


Costruire una cultura della salute che nasce prima di tutto dalla prevenzione e dall’ascolto di sé.

A guidare l’incontro è stata Gabriella Chiarappa, in qualità di moderatrice attenta e sensibile. La sua introduzione ha tracciato la direzione del dialogo:

«Lo stress non si combatte “contro” il corpo: si impara a riconoscerlo, leggerlo e trasformarlo.»

Una frase che ha aperto lo spazio all’ascolto, creando un terreno condiviso tra i relatori e il pubblico.

Uno sguardo condiviso da discipline diverse

La sala ha seguito con grande attenzione interventi che, pur provenendo da aree differenti, hanno incontrato un punto comune:

lo stress non è un nemico, ma una comunicazione del corpo.

Il Dott. Massimo Sartori ha mostrato come lo stress lasci tracce visibili nella postura, nel respiro, nella pelle.
Ogni tensione è un messaggio.
Il corpo, prima di cedere, parla.

La Dott.ssa Michela Squeo ha accompagnato il pubblico a riconoscere lo stress cronico come un processo graduale:
stanchezza, insonnia, irritabilità, disturbi digestivi non sono sintomi isolati, ma richiami di un organismo che chiede attenzione.

Il Dott. Vittorio Iorno ha offerto una nuova prospettiva: l’ossigeno come terapia rigenerativa.
Non solo sostegno, ma ripristino delle capacità vitali.

Gilberto Malerba di RE-COMP, con parole chiare e essenziali, ha riportato tutto al corpo in movimento:
non allenarsi di più, ma allenarsi meglio.
Quando il movimento è consapevole, la mente si alleggerisce.

Infine, Pablo Ardizzone ha toccato la dimensione più sottile e umana: l’immagine come luogo di riconoscimento.
La bellezza come gesto di cura.
Come dire al proprio corpo:
“Ti vedo. Ti rispetto.”

La conclusione: la cura è un percorso, non un atto

La parte conclusiva del seminario ha visto l’intervento del Gruppo Dimensione Salute, presentato da Barbara Neglia.
Una realtà che unisce:

  • Nutraceutica di qualità
  • Bio-cosmesi avanzata
  • Integrazione scientificamente mirata
  • Prodotti 100% biologici

con l’intento di portare benessere nella vita quotidiana, non solo nella teoria.

A seguire, il contributo del Gruppo Mac Clinic, rappresentato da Michelle Gao, che ha ricordato il valore delle strutture in cui la persona è accolta nella sua interezza:
corpo, mente, storia e quotidianetà.

Un messaggio che resta

Ogni intervento, ogni parola, ogni silenzio in sala ha riportato a una verità semplice e potente:

Il corpo non sbaglia. Ci parla.
A noi la responsabilità — e il privilegio — di ascoltarlo.

E ascoltarlo è già cura.
È già prevenzione.
È già benessere.

crediti fotografici: Silvia Menegon

Giorno dei morti: l’impatto emotivo

Si avvicina la ricorrenza del giorno dei morti. Per tutti un momento per pensare a chi non è più con noi. Sicuramente se abbiamo avuto una perdita importante o recente il pensiero non compare solo in questa giornata, ma sicuramente nostalgia, ricordi, tristezza faranno breccia dentro di noi.

La commemorazione dei defunti avviene in tutte le culture ed in tutte le epoche da noi in Italia si celebra il 2 novembre, ma già da stasera iniziano dei rituali che servono un po’ ad affrontare la morte che rappresenta una paura comune agli esseri umani. Tutti, in misura diversa, provano paura davanti all’idea della morte: è una delle emozioni più profonde e universali dell’essere umano. È una reazione naturale: la nostra mente è programmata per preservare la vita e per evitare il dolore. Tuttavia, la morte non è solo una minaccia fisica, ma anche un mistero che sfugge al controllo e alla comprensione razionale. Da qui nasce un senso di angoscia, il timore dell’ignoto, del “nulla” o della perdita di sé.

Nel giorno dei morti l’accento si sposta sul ricordo. Si fa visita al cimitero, si accendono candele e si parla di chi non c’è più per celebrarlo e non dimenticare. Questo crea la continuità dei legami familiari tra i vivi ed i morti.  Crea e rafforza la percezione di famiglia.         Mantenere dei rituali aiuta ad affrontare la perdita. L’atto collettivo della condivisione serve, anche se solo parzialmente, a dare vita al ricordo, ma anche a diminuire l’impatto del dolore e della mancanza.

Naturalmente l’impatto emotivo è molto diverso da persona a persona, ma se in questi giorni vi sentirete velati dalla tristezza sappiate che è assolutamente normale. Oggi si tende a non parlare della morte, è diventato quasi un argomento tabù e di conseguenza non si condivide con gli altri la paura, il dolore e la nostalgia. E’ un peccato perché nel cuore ci sono sentimenti che hanno bisogno di essere accolti, ascoltati. Vita e morte fanno parte di un ciclo purtroppo incomprensibile ed entrambe le parti devono essere celebrate. Poter condividere un ricordo o la nostalgia ha quindi un valore terapeutico che va assolutamente messo in atto. Partecipare alla ricorrenza con quelle che sono le abitudini di famiglia è importante anche come atto intergenerazionale dove i giovani apprendono come condividere per non dimenticare e come creare ponti e non sentirsi soli.

UN REGALO PER VOI:
Vi dedico l’opera dell’artista Adriana Soares MUERTE
Tecnica mista – acrilico
115 x 80 cm
Supporto: Dibond
Anno: 2013


MUERTE
Ogni giorno mi preparo, velocemente a ritroso, per lasciare questo mondo.
E un obbligo, una condizione umana.
Eppure,
non si accetta la certezza dellinevitabile, ci si aggrappa disperatamente alle punte degli acumi delle pietre pezzate,
sui rovi arrabbiati,
crudeli, invidiosi.
Ecco l’illusione di farcela a sopravvivere a me stessa, mi lego a cose materiali e colorate, poi cosa porterò con me,.
se non il ricordo nell’oblio di chi mi avrà amata.
Fino a quando, anch’esso non sarà

L’ Autunno secondo Jung: temi simbolici ed emotivi

In questi giorni il giardino sta cambiando colore, tante foglie accartocciate sono a terra, l’aria del mattino e della sera è decisamente più fresca. Siamo in autunno una stagione che in psicologia viene spesso associata a temi simbolici ed emotivi precisi, più che a un significato clinico vero e proprio. E’ probabile che vi sentiate in una fase di cambiamento o più tristi e malinconici del solito vediamo insieme cosa succede dentro di noi mentre la stagione avanza.

Ecco i principali filoni con cui la stagione autunnale viene interpretata o utilizzata:

Transizione e cambiamento

L’autunno è una stagione di passaggio. I segni del cambiamento come abbiamo già detto sono evidenti: la natura cambia colore, le giornate si accorciano, le temperature calano. In psicologia questo viene metaforicamente associato ai momenti di trasformazione della vita ovvero le fasi in cui si lascia andare qualcosa per fare spazio al nuovo.

Il “lasciare andare”

La caduta delle foglie è spesso usata come simbolo di: elaborazione del lutto o di una perdita, distacco da abitudini o relazioni, chiusura di un ciclo emotivo.

In psicoterapia, l’autunno può rappresentare il momento interno in cui si accetta di non poter trattenere tutto.

Umore e Seasonal Affective Disorder (SAD) : Per alcune persone l’autunno coincide con: calo dell’energia, malinconia, peggioramento dell’umore.

Questo può anticipare o manifestare forme lievi o moderate di disturbo affettivo stagionale, dovuto alla riduzione della luce solare. Ho avuto pazienti molto sensibili alla diminuzione di luce diurna che venivano sopraffatti da emozioni negative e che vedevo solo durante la stagione autunnale. Una sorta di “accompagnamento” fino al ritorno della primavera con giornate più lunghe e luminose. La sensibilità personale può essere molto diversa, ma se sentite che avete sentimenti negativi in questa stagione chiedete aiuto. Con il rallentamento dell’attività esterna, molte persone sperimentano una maggiore introspezione. L’autunno viene percepito come un periodo adatto a fare bilanci, riflettere su sé stessi, ridefinire priorità. A volte le emozioni ed i pensieri si accumulano e creano caos ed immobilità in altre situazioni al contrario si può generare un aumento di creatività. I colori caldi, l’atmosfera più raccolta e la dimensione contemplativa possono favorire il pensiero simbolico, i ricordi, nuove idee.

Naturalmente la dimensione culturale e personale in relazione alla stagione autunnale varia molto il significato psicologico per alcuni è serenità e bellezza, per altri solitudine, per altri ancora è l’inizio “vero” dell’anno dopo l’estate.

Personalmente il primo settembre, non è ancora effettivamente autunno, ma le vacanze sono spesso solo un ricordo,  è il vero inizio dell’anno.  E’ il momento in cui partono progetti ed idee in cui metto entusiasmo ed energia. La mia formazione è Junghiana ed il simbolismo di questa stagione è davvero interessante che condivido con voi.

Nel simbolismo junghiano, l’autunno è una stagione ricchissima di significati psicologici e archetipici. Jung e gli autori post-junghiani non ne parlano in modo sistematico come “stagione” in senso meteorologico, ma utilizzano l’autunno come immagine del ciclo vitale, del processo di individuazione e del rapporto con l’inconscio. Ecco i nuclei principali:

La fase discendente della vita psichica

L’autunno rappresenta il momento in cui l’energia dell’Io, dopo l’espansione primaverile-estiva (giovinezza e affermazione nel mondo), comincia un movimento verso l’interno. È collegato alla maturità e alla mezza età — fase cruciale nel pensiero junghiano perché invita alla trasformazione interiore e non più solo all’adattamento esterno.

Legami simbolici: Crisi di senso, Individuazione, Integrazione delle parti ombra, Preparazione al ritiro, non come declino ma come approfondimento

Il lasciare andare: morte simbolica e trasformazione

Le foglie che cadono sono un’immagine naturale del processo psichico di rimozione dell’identificazione con vecchi ruoli e maschere (Persona). L’autunno richiama l’archetipo della morte-rinascita, tipico dell’alchimia, tanto cara a Jung.

Connesso a: Nigredo alchemica (fase di decomposizione),  Distacco dall’Io inflazionato, Accettazione del limite e della caducità

Il mondo interiore e l’oscurità creativa

Con la riduzione della luce, l’autunno simboleggia l’avvicinamento all’inconscio, che ha un valore generativo, non solo distruttivo. È un invito a “scendere” dentro di sé.

Temi junghiani collegati: Ombra, Anima/Animus,  Immaginazione attiva, Ritiro ritmico dell’energia psichica

Raccolta e semina per il futuro

In autunno si raccolgono i frutti e si conservano i semi. Questo corrisponde alla fase di interiorizzazione dei contenuti psichici e alla preparazione di una nuova identità come : Integrazione delle esperienze, Bilancio della prima parte della vita, Gestazione di nuove possibilità inconsce.

Jung riconosce alcuni archetipi che riecheggiano l’autunno, ma prima di introdurli devo accenare cosa sono gli archetipi per questo autore.

Gli archetipi per Jung sono strutture psichiche universali e innate, comuni a tutta l’umanità. Non sono immagini già formate, ma schemi originari che organizzano le esperienze emotive, simboliche e mitiche. Vivono nell’inconscio collettivo, cioè il livello della psiche che trascende la storia personale. Ecco un breve elenco che si intreccia con le emozioni di stagione.

  • Il Vecchio Saggio: introspezione, visione, discernimento
  • La Grande Madre nella forma Terribile o Oscura: nutrimento e dissoluzione
  • Il Trickster/trasformatore: caos creativo che prepara al nuovo
  • Il Re morente: caduta dell’ordine precedente che apre al cambiamento

Jung vedeva nelle emozioni autunnali (melanconiche, contemplative) un ponte verso la profondità dell’Anima. Non sono segnali di debolezza, ma di contatto con la vita simbolica. L’autunno, nel simbolismo junghiano, è il tempo psichico: della discesa interiore, della metamorfosi, della morte simbolica dell’Io, della integrazione dell’Ombra, della preparazione al rinnovamento. È un invito a rallentare, raccogliere, lasciar cadere il superfluo e incontrare ciò che vive nel profondo.

Voi come vivete questa stagione? Me lo volete raccontare nei commenti o in privato? Sarò pronta ad accogliervi.

Puoi cambiare la tua vita…oppure no!

Sai cosa succede davvero quando rimandi una decisione importante?

Nulla.

La vita continua esattamente come prima.

Sicuramente hai un sogno nel cassetto. Da vorrei imparare l’inglese a vorrei perdere peso o vorrei iscrivermi in palestra, vorrei migliorare la mia situazione lavorativa, finanziaria, sentimentale…vorrei vorrei vorrei.

Tanti vorrei che invece di essere stimolanti diventano una zavorra. Vorrei che bloccano. Spengono i desideri e l’azione. Ma in fondo solo tu puoi decidere se una o tutte quelle cose che “vorresti” fanno per te e meritano la tua attenzione..

Tranquillo, va bene. Non accadrà niente di clamoroso se decidi di non provare neanche.

Le tue giornate scorreranno come sempre.

● Gli stessi blocchi emotivi che ti frenano
● Le stesse situazioni che ti prosciugano le energie
● Le stesse relazioni tossiche che ti tirano giù
● Gli stessi obiettivi rimandati a “quando sarà il momento giusto”
● La stessa sensazione di vivere al 30% del tuo potenziale

Forse continuerai ad arrivare a sera con quella stessa inquietudine di sempre.

Con gli occhi stanchi fissati nel vuoto, chiedendoti dove siano volate le ore.

Con il pensiero di tutte le cose che avresti potuto fare… e che, ancora una volta, non hai fatto.

Dentro di te resteranno quelle domande che non dici a nessuno:
“È davvero questa la mia vita?”
“E se fossi destinato a qualcosa di più grande?”
“Perché sento di sprecare tempo che non tornerà più?”

Il sospetto, difficile da ammettere ad alta voce, che stai vivendo molto al di sotto di ciò che potresti essere.

E intanto, vedrai gli altri crescere, evolversi, realizzarsi.

Mentre tu resti fermo in quella zona grigia, dove “si tira avanti”.
Tuttavia — se questa vita ti basta, niente da dire.

Non hai bisogno di fare nulla.

Ma se dentro di te senti che – tutto sommato – qualcosa da migliorare ancora c’è…

Se hai letto fino a qui proprio queste riflessioni* possono essere quel punto di svolta che aspetti da sempre.

La scelta è semplice:
❌ Puoi rimandare ancora.
✅ Oppure decidere che è ora di prendere in mano la tua vita

In bocca al lupo qualsiasi sia la tua scelta. Se vuoi condividere le tue difficoltà ti invito a contattarmi.

*ispirato ad una mail di Roberto Re mio formatore

Conosci te stesso con un piccolo libro/quaderno

Consiglio del giorno: leggi e “compila” il questionario di Proust !

Con le domande giuste scoprirai tante cose di te e potrai rileggere le risposte nel tempo e vedere come sei cambiato! Un piccolo libro/quaderno che aspetta solo te per essere riempito. Da un gioco di società di fine “800 ad un piccolo tesoro per guardarsi dentro e conoscersi! Pur rimanendo noi stessi cambiamo ogni giorno grazie alle esperienze, agli incontri, scontri, confronti con noi stessi e gli altri. Tieni traccia di chi sei e della tua evoluzione con questo piccolo tesoro…

IL QUESTIONARIO DI PROUST CON PREFAZIONE DI ELEONORA MARANGONI EDITO DA COMPAGNIA EDITORIALE ALIBERTI

Un libro firmato da Marcel Proust. Che è anche un piccolo, elegante quaderno.
Dentro ci sono pagine scritte e pagine bianche da riempire. Ci sono le domande di quello che è noto come Il questionario di Proust, e le risposte stilate dall’autore stesso.
Il questionario che porta il nome del grande scrittore francese è, in realtà, un gioco di società simil-letterario di origine inglese. Presso le famiglie britanniche del xIx secolo era diffusa l’abitudine, nelle riunioni serali, di rispondere a quiz sui ricordi e i gusti personali. Così fece, con Marcel ancora adolescente (aveva quindici anni), l’amica e coetanea Antoinette Faure: gli propose di rispondere, per iscritto, a una serie di domande presenti su un volumetto intitolato An Album to Record Thoughts, Feelings & c. Anni dopo l’album fu ri-trovato, e le risposte di Proust pubblicate nel 1924.
Ci fu una seconda occasione, nella vita del giovane Proust, di rispondere al questionario. Se le domande sono simili, le risposte di Marcel ventiduenne sono piuttosto diverse dalla volta precedente.
Una terza versione delle risposte prou-stiane (datata 25 giugno 1887, dunque la prima in ordine cronologico) è stata fortunosamente scoperta dal libraio
Laurent Coulet nel 2018. Anche qui le immagini e i concetti formulati da Proust (quindicenne) si rivelano arguti, ineffabili, spesso fulminanti, sempre
pieni di spirito.

Primo approccio: il mondo emotivo degli uomini e delle donne

Spesso uomini e donne sono prevenuti uno verso le altre ed hanno aspettative che non esistono nella realtà. Si tratta per lo più di stereotipi eppure sono in grado di imporci comportamenti che non risultano vincenti specialmente ad un primo appuntamento.

“Non voglio un timido! Ho già abbastanza problemi ad avere fiducia in me stessa, non voglio certo trovarmi a dover sorreggere anche un uomo. Voglio qualcuno con un carattere saldo e sicuro di sé.» Opinioni di questo tipo non sono rare, ma bisogna ricordare che gli uomini che danno di se stessi una prima impressione eccitante spesso puntano tutto sull’arte di abbagliare, trascurando qualità più profonde e costanti.

Gli uomini sensibili provano le stesse paure e hanno lo stesso senso di vulnerabilità delle donne, per questo motivo spesso si aprono lentamente. Prima di esporsi allo sguardo altrui devono avvertire che si è stabilito un certo grado di fiducia e confidenza. Le donne di solito sono perfettamente consapevoli della propria sensibilità e delle proprie insicurezze e conoscono il tipo di situazione ideale in cui sentirsi più sicure e libere. Eppure molte donne pensano che le emozioni in gioco per gli uomini siano diverse. Probabilmente non pensano che gli uomini possano sentirsi vulnerabili, per lo meno non quanto le donne. Alcune trovano spiacevole anche solo considerare questa possibilità! Molte donne credono che per gli uomini sia facile e naturale essere estroversi e intraprendenti, e questo semplicemente non è vero. Alcuni uomini hanno bisogno di un’atmosfera in cui sentirsi accettati e aiutati per dare spazio agli aspetti nascosti della loro personalità.

Per ogni donna che da ragazza ha passato ore accanto al telefono aspettando che qualcuno la chiamasse, c’è un uomo che da ragazzo non è riuscito a vincere il tremito delle mani per comporre il numero. Secondo le nostre aspettative culturali tocca all’uomo fare la prima mossa, quella che intimidisce di più perché, rendendo esplicito il desiderio di chi la compie, espone al rifiuto.

Gli uomini che sono riusciti più facilmente ad avere la meglio su questa paura adolescenziale sono quelli che conoscevano meno i propri sentimenti – e quelli degli altri. Quindi gli uomini che sulle prime sembrano più forti, interessanti e attraenti possono anche rivelarsi meno profondi, sensibili e affettuosi di quelli che all’inizio sembrano meno affascinanti. Ci avevi pensato?

Liberamente tratto da Donne Intelligenti/ Scelte Stupide Di COWAN&KINDER

Principi per una corretta alimentazione in pratica

Tante volte siamo entrati nel discorso della corretta alimentazione, ma non sempre è chiaro a cosa ci riferisce. Per evitare i “circa quasi” ecco qualche indicazione che potete copiare su un quaderno e renderlo vostro con uno spazio per le vostre riflessioni.

Dott.ssa Emanuela Scanu

Psicologa e Coach alimentare http://www.emanuelascanupsicologa.com

Principi alimentari di base:

Alimentazione

Con questo termine, intendiamo l’assunzione per via orale degli alimenti e l’insieme dei processi digestivi che si effettuano nella bocca, nello stomaco, nell’intestino allo scopo di trasformare gli alimenti in principi nutritivi. L’alimentazione costituisce per l’individuo una necessità vitale: gli alimenti, infatti, apportano sia il combustibile per la produzione di energia, sia i principi nutritivi in essi contenuti, indispensabili per la crescita, il mantenimento e il rinnovo dei tessuti dell’organismo, per mantenere quindi un equilibrio biologico armonico  che si identifica con uno stato di buona salute.

Per principi nutritivi intendiamo:

1. I CARBOIDRATI O GLUCIDI come apportatori di energia.

2. I GRASSI O LIPIDI come apportatori di energia e materiale di riserva

3. PROTEINE O PROTIDI costituenti della membrana cellulare e dei nostri muscoli

4. VITAMINE come protettori e regolatori

5. SALI MINERALI come costruttori e bio-regolatori.

6. L’ACQUA

Le combinazioni alimentari:

Nell’alimentazione è importante fare attenzione non solo alla quantità dei cibi e alla loro varietà, ma anche al modo in cui li si combina tra loro. Mangiare molti cibi diversi nel corso di uno stesso pasto può infatti provocare problemi digestivi quali acidità di stomaco, gonfiore, senso di pesantezza o eccessiva sonnolenza, e allungare i tempi della digestione.

Se la digestione dura molto a lungo possono aversi conseguenze spiacevoli: il cibo prendea fermentare e imputridirsi, i nutrienti vengono assimilati solo in parte, si producono tossinee l’organismo si affatica (la digestione è infatti la funzione che richiede più energia al tuocorpo).

Mangiando in modo semplice ed evitando di combinare tra loro cibi incompatibili, cibi, cioè, che il nostro organismo digerisca in modo molto diverso.

Le combinazioni di cibi da evitare in uno stesso pasto sono poche e facili da ricordare.

  • Carboidrati e proteine: se puoi, mangia gli uni a pranzo e le altre a cena, o viceversa.
  • Proteine e proteine: evita di mangiare in uno stesso pasto carne e formaggi, oppure uova e legumi.
  • Carboidrati e carboidrati: questa combinazione, seppure non consigliabile, è

           però più tollerabile delle precedenti.

Alcune regole da mettere in pratica da subito per preservare la salute:

1. Bere un bicchiere d’acqua a digiuno (meglio con una spruzzata di limone per

attivare le funzioni digestive o una grattata di radice di zenzero per darvi una

marcia in più!) durante la giornata un litro e mezzo di acqua naturale fuori

pasto per stimolare la diuresi con lo scopo di eliminare le tossine. Ha anche la

funzione di diluire i succhi gastrici per cui blocca il senso di fame.

2. Mangiare 1 yogurt magro, anche alla frutta, al giorno lontano dai pasti per

assicurare un minimo di protezione all’intestino e, nelle donne dopo i 40 anni,

una corretta introduzione di calcio.

3. Mangiare 3 frutti al giorno preferibilmente fuori pasto, come spuntino, o primadel pasto MAI al termine!

4. Due porzioni al giorno di verdura non più di 150/200 gr per pasto alternando

verdura cruda e cotta,e per chi ha problemi di tempo esistono le verdure in

busta già pulite e lavate pronte per la cottura. Eviterei i cibi surgelati o quelli

in scatola che contengono troppi conservanti.

5. Variare i cibi prediligendo la stagionalità e quelli a km o

6. Attenzione ai condimenti si ad olio di oliva extravergine a crudo e spezie, no

a salse e salsine industriali. Attenersi a metodi di cottura semplici: vapore e

piastra. Ogni tanto concedetevi una frittura fatta rispettando tutti i canoni!

7. Non mischiare le proteine ed effettuare le corrette combinazioni: no a uova e

legumi o a carne e legumi ad esempio

8. Non saltare il pranzo né gli spuntini: il rischio è di arrivare a cena affamati

finendo per mangiare molto più del necessario rispetto alle richieste

dell’organismo a fine giornata.

9. Svolgere almeno 30 minuti al giorno di attività fisica moderata che significa

cyclette, tapis roulant o una camminata all’aria aperta a ritmo sostenuto.

L’attività fisica oltre a disperdere calorie serve a tenere alte le endorfine , le

anfetamine naturali, che dandoci una sensazione di benessere diminuiscono

la voglia di mangiare.

10. Mangiare piano masticando bene è un principio fondamentale per evitare i

gonfiori addominali Fondamentale anche per il senso di sazietà: se mangiamo

velocemente rischiamo di mangiare molto di più del necessario.

I miei appunti (scrivi qui le tue nuove abitudini):

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Definire il problema

Quando ci troviamo di fronte ad un problema, che sia di grandi o piccole dimensioni, in base al suo impatto nella nostra vita, siamo colti da smania di andare oltre il problema.

Cerchiamo soluzioni veloci, poco importa se magari non sono efficaci:  la cosa importante è sbarazzarci di ciò che ci fa male, limita o danneggia nel più breve tempo possibile per poi passare alla nostra vera vita, quella che riteniamo sia fuori dal problema per intenderci.

Credo che chiunque stia leggendo queste affermazioni si senta in accordo, perché la soluzione diviene il nostro obiettivo ovvero sbarazzarci del problema. In questo vortice in genere, anche le persone diciamo più illuminate compiono un errore: ovvero non danno una valutazione accurata del problema ovvero non lo definiscono.

Questo passaggio in genere è sorvolato e dato per scontato, ma purtroppo non lo è. Definire il problema da tutte le prospettive è fondamentale. Spesso infatti i nostri preconcetti limitano la visione del problema e di conseguenza la soluzione più idonea.

Definire il problema ci obbliga a concentraci attraverso un procedimento, che ha il compito di evitare che le nostre idee e le nostre interpretazioni possano portarci fuori strada.

Noi umani abbiamo la tendenza a vedere la realtà che conferma le nostre idee e ciò che crediamo di sapere. E’ una sorta di autoinganno che porta ad una soluzione del problema su supposizioni piuttosto che sulla realtà. Rivedere e rivedere le caratteristiche del problema è il miglior modo per arrivare ad una soluzione efficace. Anche qui però c’è un ostacolo: alcune persone tendono a “girare attorno” senza mai decidere per una soluzione. Si creano continuamente gli alibi per non prendere una decisione, ma questo è un altro autoinganno.

In breve non fermatevi alla prima soluzione, definite il problema senza “paraocchi” e valutate il risultato di ogni possibile intervento.

Prima di passare all’azione contate fino a 10!

Anche il viaggio più lungo inizia con il primo passo.

“Anche il viaggio più lungo inizia con il primo passo” dice un vecchio adagio che racchiude una saggezza antica che i tempi moderni con la loro frenesia cercano di oscurare.

Quando siamo di fronte ad un problema tendiamo a volerlo risolvere tutto in una volta e chiaramente nel più breve tempo possibile. Un problema non è un cerotto e ha i suoi tempi. Molte volte, specie per un problema complesso, la cosa più saggia è iniziare da un aspetto, sbloccare e poi passare ad un altro aspetto. Spesso risolvere un problema significa effettuare un cambiamento, ma a noi umani piace troppo stare nella zona di confort per cui spesso, se per risolvere un problema è richiesto un cambiamento, tendiamo a tergiversare. Affrontare il problema in più parti significa anche abituarsi a piccoli cambiamenti e non ad uno solo magari drastico.

Tutti i “grandi” si comportano così: un pezzo alla volta!

Anche alla NASA per poter portare avanti progetti ambiziosi e costosi devono necessariamente passare per varie fasi e noi con i nostri problemi quotidiani, perché non dovremmo utilizzare le stesse strategie?

Cercate soluzioni semplici, non complicatevi la vita. A volte le soluzioni sono dietro l’angolo basta avere il coraggio di guardare e poi c’è un altro adagio (che saggezza nelle dicerie popolari!)  che nel bisogno si aguzza l’ingegno. Se vi date i giusti tempi e spezzettate il problema sarà senz’altro di più rapida soluzione.

Passando per gradi a volte non è necessario fare tutti i passaggi perché spesso slegati allentati i primi nodi il problema di risolve da sé. Certo non sempre si prende il giusto capo della matassa e a volte tocca fare più tentativi. Pensate come un giocatore di scacchi che mentre compie un’azione sta già valutando la mossa conseguente alla precedente.

Spesso vogliamo forzare i tempi per “risolvere il problema” , ma altrettanto spesso non è funzionale. Ogni cosa a suo tempo!