Violenza economica sulle donne: cos’è, cosa dice la legge e come proteggersi in modo efficace.

Non è inusuale che mi si presentino a studio donne che ricevono da mariti o compagni vari generi di violenza, ma ultimamente mi sta capitando di scoprire che amiche o semplici conoscenze si trovino in situazioni limite e non ne siano consapevoli.

Se già è difficile mettere in atto tutta una serie di azioni per risollevare le sorti di chi chiede aiuto per se e spesso per i suoi figli,  ci si trova con le mani legate quando si ha davanti una situazione palese, ma totalmente ignorata dalla protagonista.

Donne che hanno smesso di lavorare su consiglio/spinta del marito, che non hanno più un conto in banca personale “tanto a che serve avere due conti? Serve solo ad arricchire le banche”, che se devono andare dal parrucchiere devono chiedere al marito che puntualmente risponde “ ma stai bene così a chi devi piacere se non a me?” e che alla copiosa ricrescita dicono alle amiche che hanno pensato di lasciare la chioma al naturale perché al marito/compagno va bene così. Donne che “tanto non devi andare al lavoro non servono due macchine….” E che si trovano senza la possibilità di uscire neanche per cose necessarie se non accompagnate dal marito a sua discrezione. Donne che evitano di fare andare le amiche a casa perché scoprirebbero la mancanza di cose essenziali a cui dovrebbero dare spiegazioni e che trovano mille scuse per non accettare un invito ad un aperitivo o ad una pizza perché non hanno neanche pochi spiccioli di cui disporre a piacimento.

Fino ad un certo punto queste donne pensano che il marito/compagno le stia proteggendo in realtà le mantengono isolate dal resto del mondo. In apparenza sono uomini premurosi, ma in realtà il loro non è amore, ma possesso.

Questo è ciò che Anna Silvia Angelini  Presidente di AIDE Nettuno consiglia al riguardo:

Avviene per lo più dentro le mura domestiche, quando alle donne è di fatto negata la possibilità di contribuire con le stesse opportunità riservate all’uomo all’economia familiare e di essere economicamente indipendenti.

Questo accade tutte le volte in cui è l’uomo a lavorare per sostenere le spese dell’intera famiglia; quando è la donna a occuparsi in modo esclusivo della cura della casa e dei figli, rinunciando del tutto al lavoro o a parte delle ore dedicate all’attività professionale, o ancora sobbarcandosi da sola i doveri del “doppio lavoro casalingo”; quando il patrimonio è gestito da un terzo; quando viene eroso il patrimonio della moglie/compagna, senza darle l’opportunità di lavorare o di studiare; quando la donna deve chiedere il “permesso” per accedere alle risorse della famiglia, deve giustificare e rendicontare le spese e/o non viene messa a conoscenza del reddito familiare. E ancora, avviene quando l’uomo vieta, ostacola o boicotta il lavoro della compagna quando la donna non vede riconosciuto il proprio lavoro in casa e/o viene minacciata di ritorsioni economiche a danno proprio o dei figli; quando alla donna viene chiesto di sottoscrivere mutui e finanziamenti o di fare da prestanome per le attività economiche del marito.

Non solo durante il matrimonio

Ma la violenza economica si manifesta anche e soprattutto fuori dalla casa coniugale, quando la moglie/compagna decide di lasciare l’uomo che aveva scelto e quest’ultimo mette in atto tutta una serie di strategie per negarle le opportunità professionali e persino il mantenimento dei figli: il mancato rispetto del diritto di visita e il mancato versamento dei contributi di mantenimento ai minori ne sono un valido esempio. Così come il tanto diffuso “auto-esonero” di molti padri dal provvedere all’assistenza dei figli durante le chiusure scolastiche o nelle ore pomeridiane, quando i più piccoli escono da scuola e necessitano di essere accuditi e di svolgere i compiti. In questo modo, le donne vittime di violenza finiscono spesso per ritrovarsi senza una casa, senza un lavoro, con i figli a carico e magari con i debiti contratti dal marito sulle spalle. Come se ciò non bastasse, si ritrovano a dover pagare pure una baby-sitter, una ludoteca o un asilo per sorvegliare i più piccoli per cercare di guadagnarsi da vivere.

Le fasi della violenza economica

La violenza economica viene raramente riconosciuta dalle donne. Sia perché culturalmente la figura femminile è associata alla cura della casa e dei figli, sia perché si tratta di una violenza.

Inoltre, gli uomini che operano questa tipologia di violenza sulla propria compagna difficilmente lo fanno, sin da subito, in maniera “aperta”. È più frequente, invece, che la violenza economica avvenga come escalation di piccoli atti che poi vanno a comporre il gigantesco puzzle della subordinazione della donna nel contesto familiare.

Nella fase iniziale, l’uomo solitamente comincia con il decidere in modo autonomo e non condiviso gli investimenti, gestendo esclusivamente il conto corrente della famiglia. Poi pretende i rendiconti dettagliati delle spese della donna, le impedisce di accedere e disporre delle risorse economiche e non la rende partecipe delle entrate.

Successivamente riconosce un piccolo budget mensile/settimanale alla compagna, spesso irrisorio e insufficiente, per la spesa alimentare, negando beni primari come cure mediche e medicine; utilizza il denaro come mezzo di ricatto e di ritorsione. Nei casi più gravi e spesso all’alba della separazione  l’uomo può sperperare il patrimonio della famiglia a insaputa del partner, obbligandolo a fare da prestanome o da sottoscrittore per prestiti e fideiussioni di cui rimane esclusivo beneficiario.

La violenza economica è un reato?

Alla stregua di altre forme di violenza “silenziose”, la violenza economica non è considerata un reato autonomo in Italia. Ma è comunque inquadrabile tanto dal punto di vista civilistico, quando dal punto di vista penale.

Seppur distinta dalla violenza psicologica in quanto tale di cui, secondo i dati Istat, è rimasto vittima quasi il 90% delle donne che hanno denunciato una violenza subita nel 2021  la violenza economica comporta anche gravi ripercussioni sullo stato emotivo e psicologico della donna che la subisce e rientra, in funzione dei tratti del caso specifico: nel reato dei “maltrattamenti in famiglia” (art. 572 del codice penale); in quello della “violenza privata” (art. 610 del codice penale); in quello della “privazione parziale o totale delle risorse economiche necessarie per il sostentamento personale e dei figli” (art. 570 del codice penale) o della “violazione degli obblighi di assistenza familiare” (legge n.154 del 2006).

Come proteggersi

Per proteggersi dalla violenza economica occorre innanzitutto conoscerla e acquisire tutte quelle informazioni utili a salvaguardarsi tanto in caso di matrimonio quanto in caso di convivenza.

Se hai dubbi contatta AIDE Nettuno

via Biferno 10, Nettuno, Italy

+39 329 634 0772

nettunoaide@gmail.com

Storia con morale di gennaio

Mia madre aveva un sacco di problemi. Non dormiva, si sentiva esausta, era irritabile, scontrosa, acida e sempre malata, finché un giorno, all’improvviso, cambiò.

La situazione intorno a lei era uguale, ma lei era diversa.

Un giorno, mio padre le disse:

– tesoro, sono tre mesi che cerco lavoro e non ho trovato niente, vado a prendermi un po’ di birre con gli amici.

Mia madre gli rispose:

– va bene.

Mio fratello le disse:

– mamma, vado male in tutte le materie dell’università…

Mia madre gli rispose:

– ok, ti riprenderai, e se non lo fai, allora ripeterai il semestre, ma tu pagherai le tasse.

Mia sorella le disse:

– mamma, ho urtato la macchina.

Mia madre le rispose:

– va bene, portala in officina, cerca come pagare e mentre la riparano, ti muoverai in autobus o in metropolitana.

Sua nuora le disse:

– suocera, verrò a stare qualche mese con voi.

Mia madre le rispose:

– va bene, siediti sul divano e cerca delle coperte nell’armadio.

Ci siamo riuniti tutti a casa di mia madre, preoccupati di vedere queste reazioni. Sospettavamo che fosse andata dal dottore e che le avesse prescritto delle pillole di ” me ne frega un cazzo” da 1000 mg… Probabilmente rischiava di andare in overdose.

Abbiamo deciso di aiutare mia madre per allontanarla da ogni possibile dipendenza da qualche farmaco anti-Ira.

Ma la sorpresa fu quando ci riunimmo tutti intorno e mia madre ci spiegò:

” mi ci è voluto molto tempo per capire che ognuno è responsabile della sua vita, mi ci sono voluti anni per scoprire che la mia angoscia, la mia mortificazione, la mia depressione, il mio coraggio, la mia insonnia e il mio stress, non risolvevano i suoi problemi.

Io non sono responsabile delle azioni altrui, ma sono responsabile delle reazioni che ho espresso.

Sono quindi giunta alla conclusione che il mio dovere per me stessa è mantenere la calma e lasciare che ognuno risolva ciò che gli spetta.

Ho seguito corsi di yoga, di meditazione, di miracoli, di sviluppo umano, di igiene mentale, di vibrazione e di programmazione neurolinguistica, e in tutti loro, ho trovato un comune denominatore: alla fine tutti conducono allo stesso punto.

E io posso solo avere un’interferenza su me stessa, voi avete tutte le risorse necessarie per risolvere le vostre vite. Io posso darvi il mio consiglio solo se me lo chiedete e voi potete seguirlo o no.

Quindi, da oggi in poi, io smetto di essere: il ricettacolo delle sue responsabilità, il sacco delle sue colpe, la lavandaia dei suoi rimpianti, l’avvocato dei suoi errori, il muro dei suoi lamenti, la depositaria dei suoi doveri, chi Risolve i vostri problemi o il vostro cerchio di ricambio per soddisfare le vostre responsabilità.

D’ora in poi vi dichiaro tutti adulti indipendenti e autosufficienti.

Da quel giorno la famiglia ha iniziato a funzionare meglio, perché tutti in casa sanno esattamente cosa spetta a loro fare.

Autore:

Una donna felice!!!

dal web DonnedOnNeDONNE

Sopravvivere al Blue Monday

Era il 2005 quando attraverso Sky Travel, un canale televisivo britannico, viene diffuso un comunicato stampa che annuncia il Blue Monday ovvero il giorno più triste dell’anno! La sua “ricorrenza” è determinata nel terzo lunedì del mese di gennaio. Il colore blue in inglese viene indicato per rappresentare tristezza/malinconia per questo è stato coniato il termine Blue Monday. Sembra che una complicata equazione creata da Cliff Arnall, psicologo dell’Università di Cardiff, abbia rilevato alcune “congiunture” che possono determinare una giornata particolarmente triste. La prima è che è appunto lunedì, segue che gli addobbi natalizi sono ormai riposti in soffitta e questo conferma la definitiva fine dei giorni dedicati ad abbuffate e spensieratezza. Infine c’è la considerazione che sono lontane le prossime festività oltre che il tempo è grigio e freddo.

Le depressioni stagionali sono fatti certi, non sono certa riguardo al un giorno particolarmente triste, ma nel caso lunedì 16 gennaio foste pervasi da una profonda tristezza ecco qualche consiglio:

  • Non fatevi “contagiare” dai commenti sui social ed ascoltate bene le vostre sensazioni
  • Se vi sentite “un po’ giù” l’attività fisica è sempre consigliata, se non siete proprio degli atleti può essere l’occasione per fare almeno una bella passeggiata, vi aiuterà a distrarvi e a migliorare l’ossigenazione del sangue;
  • Potrebbe essere il momento buono per sistemare quelle cose che non avete mai tempo di fare (cassetti, armadi, scrivania!). Il movimento vi permette di rilassare la testa e terminato il lavoro ne sarete anche soddisfatti;
  • Cucinare qualcosa di buono. Vi ricordate come fare pizza e torte vi ha aiutato a sopravvivere al lockdown? Ecco se questo vi ha insegnato qualcosa usatelo!
  • Dedicatevi a voi stessi. Ascoltate della musica, Fate un bel bagno caldo, un massaggio con una crema profumata, ma anche dedicarsi ad un hobby o leggere un libro.

Curiosità:

  • L’espressione inglese “I’m feeling blue indica una situazione in cui si è tristi senza una ragione specifica; noi diremmo “giù di corda” ;
  • Nel film  “Inside Out” della Pixar è blu il personaggio che rappresenta la tristezza;
  • E’ determinato “blues” il genere musicale avuto origine nelle comunità afroamericane che esprime sentimenti tristi riguardo la loro condizione di schiavitù,
  • Il blu venne creato intorno al 2.200 a.C dagli egizi. Il blu era il colore che doveva scortare i morti nell’aldilà, infatti anche le bende in cui erano avvolte le mummie erano colorate di blu.

Cherofobia: la paura di essere felici

Sembra un controsenso eppure è una condizione abbastanza frequente. Si tratta della tendenza ad evadere momenti ed emozioni considerati positivi. Il termine viene dall’unione di due parole che derivano dal greco antico:  kairós  che significa momento propizio e fóbos che significa paura.

Le persone che ne sono colpite non riescono a gioire di momenti positivi, perché hanno sempre la sensazione che potrebbe accadere qualcosa di brutto a rovinare il momento. Il disagio che ne deriva crea danno a più livelli non solo personale, ma anche sociale.  Si arriva, come per tutte le fobie, ad evitare situazioni e persone per la paura di stare male o a disagio. Alcuni evitano relazioni sentimentali o hanno relazioni poco impegnative e passeggere per le quali “non vada la pena di soffrire” .

 L’evitamento della felicità è anche legato al senso di colpa. Una sensazione in cui non ci si sente in diritto ad essere felici. Ogni situazione che possa dare emozioni positive è in discussione. I pensieri più comuni sono: “se sono felice può accadere qualcosa di brutto, essere felici è una perdita di tempo, non vale la pena essere felici tanto poi accade sempre qualcosa di storto…”.

Si nota anche una certa difficoltà a condividere le emozioni in quanto ritenuto inutile o non propizio (può accadere qualcosa di brutto se dico che sono felice!)

Ma cosa crea una tale situazione?

Spesso dobbiamo tornare all’infanzia per capire il momento e la causa che l’ha innescata. In quel periodo un trauma o un lutto improvviso hanno smorzato l’entusiasmo seguente ad un momento bello o felice e ha causato una sorta di imprinting negativo. Non solo l’evento è in causa, ma anche le emozioni generate nel prima e dopo!

Cosa si può fare?

Sicuramente sono situazioni delicate che richiedono l’aiuto di un professionista. La prima cosa su cui indagare è cercare di capire la o le cause che hanno generato tale sintomatologia. Fa seguito un lavoro onesto su se stessi per riscoprire il valore delle emozioni positive.

Gennaio: indispensabile la “remise en forme”

Non trovate la scusa dei dolcetti che ancora girano per casa e non arrivate a febbraio con il corpo appesantito dagli stravizi delle festività. Non mantenete il corpo in sovraccarico oltre il dovuto perché la bella stagione è dietro l’angolo e rischiate di fare i soliti errori con le diete devastanti i 10 gg prima delle ferie!

Anche i più bravi qualche extra lo hanno fatto e tra i buoni propositi dell’anno sicuramente rimettere il corpo a regime è fondamentale. Dopo due periodi natalizi in semi lock down è stata importante anche la ritrovata convivialità,  ma tra ore di sonno perdute e quelle passate a tavola  dobbiamo fare i conti con una corretta “remise en forme”.

Molti hanno già ricominciato le attività a pieno regime, i bambini/ragazzi sono a scuola e quindi con i ritrovati ritmi sarà più semplice rimettersi in riga.

Iniziamo dal sonno. Non tutti possono permettersi le classiche 8 ore, ma sicuramente non state al di sotto delle 6 ore. Decidete un orario consono per andare a dormire  in base ai vostri orari lavorativi. Se non riuscite a prendere sonno, mettetevi a leggere un libro, ma non usate il cellulare che tiene il cervello “acceso” sfavorendo il riposo. Una tisana calda concilia la calma e favorisce il sonno, ma se avete ulteriori difficoltà provate con la melatonina. Per consigli d’uso e dosaggio affidatevi al vostro farmacista di fiducia.

Secondo punto debole è l’attività fisica. Se ancora non vi siete iscritti in palestra ed è qualcosa che state rimandando da settembre, bè è il momento giusto per farlo. Personalmente ritengo che una bella camminata di almeno 40 minuti al giorno possa bastare, ma anche tapis roulant o cyclette in casa (stesso tempo minimo!) possono andare bene. Se vi piace la musica esistono tantissime attività sportive che la includono e se vi annoiate ad allenarvi da soli cercate un amico che venga con voi o fate amicizia in palestra con le persone del vostro corso. Unica parola d’ordine è non tergiversate e cominciare da subito. Un’attività fisica continuativa permette il rilascio di endorfine che vi farà sentire bene dal primo giorno e che procurerà una sensazione piacevole nell’esecuzione. Il patto è che facciate almeno un po’ ogni giorno per mantenere questa sensazione che vi permetterà di inserire l’attività fisica tra le vostre attività giornaliere.

Infine l’alimentazione. Per ridurre le sensazioni di gonfiore addominale, reflusso o irregolarità intestinali è necessario riprendere un’alimentazione equilibrata, per chi ancora non è entrato in quest’ottica è il momento giusto per cominciare!

Parola d’ordine è disintossicarsi.

Via libera ad acqua e tisane ed infusi. Una tisana al finocchio è perfetta per la digestione e ridurre il gonfiore addominale. Camomilla, malva, tiglio, biancospino sono lenitive per la mucosa gastro intestinale e calmanti.

Non si tratta di perdere eventuali kg acquisiti durante le feste, ma portare il corpo a lavorare al meglio. Con i cibi ricchi di fibre quali alimenti integrali, frutta e verdura favoriamo il tratto intestinale e introduciamo vitamine e sali minerali fondamentali per il corretto funzionamento del nostro organismo.

Evitate sale e condimenti grassi. Usate olio EVO  a crudo ed eventualmente insaporite con spezie. I dolci sono assolutamente aboliti. Se proprio avete avanzi di panettone mangiatelo a colazione e poi scordatelo fino al giorno dopo. Altri dolci quali biscotti, frutta secca o torroni possono diventare il vostro extra nel fine settimana. Non vi preoccupate non scadono a breve e quindi niente scuse!

Anche i metodi di cottura sono importanti. Sempre, ma in particolare adesso per mettere a riposo il corpo. Piastra e vapore sono i metodi perfetti.

Ti sfido a realizzare i buoni propositi del 2023, ma ti aiuto a farlo!

Eccoti a gennaio pieno di energia e buoni propositi. Se hai qualcosa in sospeso o un sogno nel cassetto è il momento di realizzarlo o per lo meno programmare tutte quelle azioni necessarie affinchè il sogno si avveri.

Sono certa che hai un elenco lunghissimo che comprende obiettivi che si rincorrono di anno in anno senza raggiungere la fase di realizzazione. ci metti molto entusiasmo i primi 15 giorni e poi preso dalla routine le buoni intenzione vanno sfumando per ritornare, con i sensi di colpa, al momento del bilancio di fine anno.

“Quest’anno sarà diverso” è ciò che ti dici ogni anno e a costo di mentire a te stesso lo dirai anche in questo mese, ma questa volta ti insegno qualche trucchetto affinchè tu possa utilizzare le tue energie al meglio e con soddisfazione.

Innanzitutto bisogna procedere per gradi alternando piccoli e grandi obiettivi. Il secondo step è valutare l’effettiva possibilità di realizzazione, ovvero la concretezza di un progetto. Ok essere sognatori, ma un minimo di realtà è necessaria. Il terzo step è pensare a questa lista con ottimismo e senso di sfida senza pensare che tanto hai tempo un anno per realizzarli, ma neanche che puoi realizzarli in una settimana!

Che tu abbia 30, 40, 50 anni o più non è importante basta la volontà di cambiare una volta per tutte il corso della tua vita e diventare anche un esempio per chi ti è vicino.

Inizia dall’obiettivo più difficile, ma contemporaneamente occupati di qualcosa di un po’ più semplice o che ha tempi di realizzazione più brevi. Ciò è necessario affinchè tu possa avere piccole soddisfazioni in attesa della realizzazione di quelli più importanti o difficili. Ciò apporterà energia all’ego che la utilizzerà per spingere l’acceleratore all’obiettivo finale.

Suddividi le tue giornate e fai ordine: prima con la testa e poi con le cose. Un’agenda, o più di una, è fondamentale per vedere su carta i passi che si compiono, se si rispettano i tempi o se è necessario cambiare la strategia. L’organizzazione è la parola d’ordine. Niente tempi stretti, ma abbastanza larghi per ogni attività. Serve a prevedere un imprevisto o permetterci la semplice stanchezza! Quindi vietati ritmi serrati che manterrete per non più di una settimana, ma ritmi sensati e a vostra dimensione che possano essere rispettati per lunghi periodi.

Una alimentazione sana, un minimo di attività fisica, momenti da dedicare ad un hobby non devono mai essere trascurati quando si hanno obiettivi da raggiungere. Non accampate la scusa del non ho tempo, ma organizzate le vostre giornate integrando questi aspetti che sono fondamentali per il buon funzionamento del corpo, della mente e dello spirito. In tutto questo ricordate che non siete soli, e sebbene io predichi spesso il sano egoismo, vi ricordo che gli affetti prendono parte attiva ai vostri progetti e quindi fatevi consigliare, supportare e condividete i risultati. Con la scusa di un obiettivo non dimenticate chi avete accanto! Anche dai vostri parenti ed amici potete ricevere energia ed entusiasmo: i momenti passati con loro sono importanti!

Immagine corporea e cibo: una questione di testa

L’immagine che abbiamo di noi può essere considerata come una parte dell’autostima totale legata ad i messaggi che ruotano attorno al nostro aspetto fisico. Alcuni messaggi provengono dall’esterno in forma di commenti altri dall’interno e si riferiscono a ciò che noi percepiamo.

Si stima che circa il 46% della popolazione percepisce un certo grado di insoddisfazione per il proprio aspetto, ma quando diventa un vero problema?

I problemi si evidenziano nei rapporti con gli altri perché ne vengono condizionati. Le persone che vivono il proprio corpo o una parte di esso in modo negativo hanno emozioni e comportamenti che diventano essi stessi motivo di stress.

Nelle situazioni sociali spesso la persona tende a credere che gli altri la stiano valutando: es. pensano io sia grassa, magra, ho il seno piccolo, le gambe grosse…. Questi sono solo alcuni dei pensieri che andranno ad influire sul comportamento fino ad arrivare all’evitamento di tutte quelle situazioni in cui la preoccupazione del giudizio è maggiore della soddisfazione del condividere tempo con amici, colleghi o famigliari.

L’autostima è fortemente influenzata dal giudizio. Avere la percezione che il proprio corpo non sia adeguato porta a nascondere quelle parti e a non accettarle. Si finisce per non amare la persona che “abita” quel corpo imperfetto.

Nelle relazioni amorose non va sicuramente meglio. Infatti il contatto fisico con una persona che si percepisce brutta è reso difficoltoso dal fatto che quella persona eviterà il contatto stesso oppure cercherà di nascondere le parti inadeguate concentrandosi solo sul celare ed evitare e non vivendo il momento con serenità.

Tutto ciò va irrimediabilmente ad inficiare il tono dell’umore fino ad arrivare a forme di depressione che portano al circolo vizioso “sono depresso perché sono brutto, sono brutto e quindi sono depresso”!

Purtroppo un’immagine corporea negativa ed il relativo tono dell’umore possono influire anche sull’alimentazione e lo stile di vita. Un’eccessiva preoccupazione riguardo al peso corporeo porta le persone a fare diete sempre più drastiche che portano irrimediabilmente allo sgarro con conseguente affermazione liberatoria:  “mangio tanto ormai…” a cui segue il senso di colpa per aver mangiato che porta un aumento dell’ansia che riporta a mangiare : ed eccoci ad un altro circolo vizioso! Ci sono persone perennemente a dieta frustate a tal punto di finire in abbuffate con le quali si prende peso e si perde autostima! Alcune persone cercano di rimediare alle abbuffate procurandosi vomito, usando lassativi e diuretici ed anche facendo attività fisica in modo altrettanto smisurato.

Quando si crea questo rapporto malato con il cibo anche la percezione del corpo degenera fino ad arrivare a quadri psicopatologici seri. Quando c’è un problema sull’immagine corporea è quella che va modificata lavorando essenzialmente sull’autostima e la comunicazione verso se stessi e gli altri. Raramente serve una dieta. Solo quando la persona ha trovato un suo equilibrio apprendere una buona educazione alimentare permette di ritrovare il peso perduto senza stress. In un quadro sereno la “rinuncia” così insopportabile nella dieta diventa una “scelta” durante un ‘alimentazione consapevole.

Adesso rispondi in modo sincero alle seguenti domande:

  • Come valuti il tuo corpo?
  • Hai un rapporto positivo con esso?
  • C’è una o più parti che non ti piacciono?
  • Ti confronti spesso con coetanei riguardo taglia o qualche parte del corpo in particolare?
  • Eviti situazioni in cui hai la percezione di essere giudicata per il tuo peso o una parte del corpo?
  • Ti lamenti spesso delle parti di te che non ti piacciono?
  • Eviti di andare al mare o in piscina o a ballare perché non ti senti adeguata?
  • Hai mai detto quando sarò magra farò questo o quello?
  • Investi molto economicamente parlando in trattamenti, prodotti per l’aspetto fisico?

Se le risposte sono in massima parte affermative meglio affidarsi ad un professionista psicologo che ti possa aiutare a vedere il tuo corpo sotto una luce diversa lavorando sul mondo interiore.  Quando autostima e fiducia in se stessi prevalgono lavorare sull’immagine corporea è molto più semplice e se ci sono anche dei kg in più sarà sicuramente più facile eliminarli.

Diete e miracoli: un fatto di marketing!

Sempre sensibili al richiamo dell’ultima dieta, specie se sponsorizzata da qualche personaggio famoso, si fanno spesso sacrifici economici per illudersi che questa sarà la volta buona.  Su Instagram un tripudio di offerte correlata da foto del prima e dopo che non lasciano dubbi. Promesse di felicità al raggiungimento del peso desiderato.

Tutti magri nel nome dell’ultimo preparato che garantisce essere formulato con ingredienti naturali e senza controindicazioni. No non è in vendita in farmacia, ma tutto è regolare confermano! Sappiamo che i miracoli non esistono e neanche le pillole miracolose e le bacchette magiche, ma il marketing sì i miracoli li fa davvero e sa convincerci su temi a cui siamo veramente sensibili.

Efficacia e validità scientifica superati ci si illude dietro quel barattolo di polvere o pillole da prendere rigorosamente ad orari e che dire dei rinforzi psicologici? “Volersi bene”. “La regola delle 6 esse”, “Vinci tu”, “la strada per il successo” insomma psicologia spicciola a cui ci si aggrappa con tutte le forze basta che non si parli di sacrifici e di non mangiare!

Sento parlare di diete da anni dalla mitica “Weight Watchers” alla temibile “Dukan”!  Il fallimento di questi programmi sta nell’illusione che si possano ottenere risultati rapidi e duraturi senza particolare impegno. E’vero spesso andiamo di corsa ed è comodo inserire la cena nel forno a microonde o passare a prendere una pizza. Non è per tutti passare dal contadino o al mercato rionale per acquistare i prodotti di stagione che devono essere puliti, lavati e cotti! Così abituati a tutto e subito anche in caso di perdita di peso si pensa si possa ottenere, ma non funziona così! Ecco sempre in prima linea le diete drastiche del post festività o del prima delle ferie che fanno solo perdere acqua e massa magra con l’ago della bilancia che si muove e ci illude che sta andando tutto bene.

Ricordatevi di ciò quando sarete tentati dopo le feste.

Spesso ci si concentra su alimento o su un gruppo di alimenti, a restrizioni infondate basate solo sulla moda del momento. In realtà bisogna andare oltre. Bisogna comprendere cosa ci porta a mangiare troppo o male, a trovare strategie che migliorino la qualità della nostra vita. A fare pace con il cibo relegandolo a quello che in realtà è: carburante per il nostro corpo e non la panacea di ogni male. Mettere in linea corpo e mente con l’aiuto di uno psicologo e di un nutrizionista qualificato facendo attenzione a tutti quei coach che si spacciano tali solo per vendere i loro prodotti di dubbia utilità.

Storia con morale- dicembre 2022

L’anno sta per finire. Per qualcuno è volato per altri è stato infinito e non vede l’ora di voltare la pagina del calendario per un nuovo inizio. Un modo per “settare” la propria vita e ricominciare.. La percezione del tempo che passa è diversa per ognuno di noi ed è influenzata dalla situazione in cui ci troviamo, ma anche dalla mostra storia personale, dalle nostre credenze e da come sappiamo reagire alla frustrazione dell’attesa. Ecco quindi una piccola storia per voi. Una storia di redenzione alla Dickens per intenderci, molto profonda ed attuale per far riflettere tutti, ma in particolare i giovani che hanno fretta di crescere, bruciare le tappe…

“Massimo era un ragazzino a cui non piaceva aspettare. Quando era inverno e pattinava sul ghiaccio, non vedeva l’ora che arrivasse l’estate per poter nuotare; quando poi arrivava la tanto sospirata estate, desiderava l’autunno per poter giocare con il suo aquilone sul grande prato dei giardini pubblici. Insomma, se qualcuno chiedeva a Massimo qual era la cosa che più desiderava al mondo, riceveva una risposta ben precisa: «Io vorrei che il tempo passasse in fretta…». Un giorno d’autunno, Massimo si sentì chiamare: si voltò di scatto e vide una vecchietta che lo osservava con dolcezza. La vecchietta mostrò al ragazzo una scatoletta d’argento con un forellino da cui usciva un filo d’oro e gli disse: «Guarda, Massimo. Questofilo sottile è il filo della tua vita. Se proprio desideri che il tempo per te trascorra velocemente, non devi far altro che tirare un po’ il filo. Un piccolissimo pezzo di filo corrisponde ad un’ora di vita. Non dire a nessuno che possiedi questa scatoletta e buona fortuna!». La vecchietta scomparve. Il giorno dopo, a scuola, Massimo pensò di usare il filo per accorciare la lezione. Tirò con troppa decisione e sentì la voce del maestro che diceva: «Le lezioni sono finite. Potete andare a casa». Massimo pensò: «Oh, come sarebbe bello aver già finito la scuola e poter lavorare!». Decise di dare una bella tiratina al filo e così, la mattina seguente, si svegliò che aveva i baffi, faceva l’ingegnere e aveva messo su una bella fabbrica. Era molto felice del suo mestiere e per un po’ tirò il filo con moderazione, giusto solo per far arrivare in fretta i soldi a fine mese.Conobbe Maria, una bella ragazza. Fu un matrimonio bellissimo. Un particolare turbò Massimo per un momento: la sua mamma era invecchiata, aveva già molti capelli grigi. Si pentì di aver tirato così spesso il filo magico e promise a se stesso che, ora che era grande, non l’avrebbe fatto più. Ma un giorno Maria gli annunciò sorridendo che stava aspettando un bambino. «Aspettare» era un verbo che a Massimo non era mai piaciuto. Non seppe resistere alla tentazione di abbracciare presto suo figlio e ricominciò a tirare il filo quasi ogni giorno. Una sera lo tirò un po’ troppo e il giorno dopo si trovò un bel po’ più vecchio e con due figli: uno andava al Liceo e l’altro all’Università. Così tutto ricominciò da capo. Ogni volta che si presentava un problema, Massimo tirava il filo per risolverlo in fretta: quando gli affari andavano male, quandoqualcuno era ammalato, quando gli veniva voglia di sapere chi avrebbe vinto il campionato di calcio, quando voleva vedere subito come andava a finire lo sceneggiato a puntate della TV… Una mattina, Massimo si guardò allo specchio e scoprì di avere i capelli bianchi. Si sentiva molto stanco e insoddisfatto. Ora la sua casa era vuota e Maria (mamma mia, come era invecchiata anche lei) non riusciva a capire come mai lei e il marito non avessero molto da ricordare della vita passata insieme. «Sembra anche a te che tutto sia passato in un soffio?», gli chiedeva. «Come è possibile che i nostri figli siano cresciuti così in fretta?». Massimo non poteva rispondere e si sentiva molto triste. Erano ormai due vecchietti, pieni di acciacchi, e le giornate erano più lunghe che mai. Ma ora stava benattento a non tirare più il filo magico. Un giorno che sonnecchiava nel parco, sulla solita panchina, il vecchio Massimo si sentì chiamare. Aprì gli occhi e vide la vecchina che, tanti e tanti anni prima, gli aveva regalato la scatoletta con il filo magico. «Allora Massimo, com’è andata? Il filo magico ti ha procurato una vita felice, secondo i tuoi desideri?». «Non saprei… Grazie a quel filo non ho mai dovuto attendere o soffrire troppo nella mia vita, ma ora mi accorgo che è passato tutto così in fretta ed eccomi qui, vecchio e debole… Vorrei tornare ragazzino», sospirò con un po’ di vergogna. «E poter rivivere la mia vita senza il filo magico. Vivere come tutte le altre persone e accettare tutto quello che la vita mi riserva, senza più essere impaziente».

«Non ti resta che restituirmi la scatoletta e… buona fortuna, Massimo!». Appena Massimo pose nella mano della vecchina la scatoletta, si addormentò di un sonno profondo. «Ehi, dormiglione! Sveglia!». Massimo aprì gli occhi e si trovò nel suo letto, con la mamma (giovane e bella) che lo guardava dolcemente. Corse allo specchio e vide il suo solito volto paffuto da ragazzino. Baciò e abbracciò la mamma come fossero cent’anni che non la vedeva più.

(Bruno Ferrero)dal web”

Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità

Dedicare una giornata a problemi specifici ha lo scopo di sensibilizzare le persone a problematiche magari sconosciute, non riconosciute o ignorate. La disabilità è un problema che riguarda tutti noi anche se abbiamo la fortuna di non avere un disabile in famiglia. La società si dovrebbe stringere attorno a quelle famiglie. Dare il proprio contributo o almeno non ostacolare certi progressi che anche se sembrano cose stupide possono essere davvero importanti per chi ha delle limitazioni. Avere più rispetto ed attenzione ai parcheggi per disabili, così come cedere il posto ad una persona fragile, far passare qualcuno alla cassa sono piccolissime azioni. Per noi è solo aspettare qualche minuto di più, ma per quella persona un gesto importante.

Riconoscere che sono “persone” prima ancora che disabili è un passo fondamentale. Vi racconto una storia trovata sul web. E’ una bella storia e ve la voglio raccontare, perchè credo che le piccole storie possono essere grandi storie se condivise!

-Margherita Campanelli, 30 anni, studentessa lavoratrice con sindrome di Down, di Fano, ha conseguito questa mattina la laurea magistrale in Scienze pedagogiche all’Università di Macerata con votazione 110 e un tesi dal titolo “Il gioco come strumento e pratica inclusiva al nido. Le prospettive e dinamiche educative nello spazio 0-6”.
“Quella di Margherita è una storia straordinaria, generata da una parte da una personale determinazione, dall’altra dalla forza dell’interazione sociale inclusiva – racconta la sua relatrice originaria di Oristano, Francesca Salis, titolare della cattedra di Pedagogia delle disabilità a Macerata – Ora potrà trasmettere a bambini e bambine i valori dell’inclusione in maniera diretta, non solo con la teoria ma attraverso la sua esperienza incarnata in modo emozionale ed esperienziale. Lei – chiarisce la prof – è riuscita ad andare oltre i luoghi comuni e non ha permesso alla disabilità di prendere il sopravvento e compromettere il suo progetto di vita”.
Ora il grande sogno di Margherita è diventato realtà e la giovane neo laureata ha bene in mente cosa fare: aprire un agrinido per dare la possibilità ai più piccoli di crescere a contatto con la natura. La laurea triennale con la tesi sul “Ruolo dell’educatore nel processo di inclusione” le aveva già permesso di lavorare in un asilo nido a Fano, dove è nata. Ora la magistrale col pieno dei voti e i complimenti della commissione. “Un’emozione grandissima – confessa Margherita – un obiettivo inseguito con grande impegno e passione.
Fin da bambina ho avuto modo di confrontarmi con figure educative e questo ha fatto scaturire il desiderio di diventare pedagogista”. Per Francesca Salis la soddisfazione è immensa: “Nell’ambito dell’approccio narrativo, pedagogico inclusivo, che io insegno ai futuri pedagogisti, Margherita è una testimone validissima, capace di trasmettere con efficacia la sua storia, gli elementi educativi che l’hanno caratterizzata, la necessità di superare i pregiudizi. Margherita – assicura – continuerà a collaborare con me. Adesso da stimata collega”.

Filippo Rossi