Coraggio, verità e speranza… oggi.

“Siamo sempre ‘on’ e costantemente immersi in flussi giganteschi di stimoli e forse questo ci ha tolto qualcosa nel rapporto che possiamo ancora avere con la Verità, con la cura della parola, con l’attenzione agli ultimi. Se c’è un antidoto alla comunicazione confusiva-veloce-eccessiva che spesso induce all’errore (fake-news) ed è perlopiù incentrata sulle tragedie umane, questa risiede nel conservare l’inquietudine della ricerca, nel mantenere occhi aperti e svegli, uno sguardo agile e intuitivo ma sempre molto attento all’analisi, alla ricerca del vero in modo responsabile.

Bisogna allenarsi all’ascolto, a percepire le sfumature, i silenzi, solo così si può raccontare con pudore, sobrietà e umiltà. Perché la realtà dipende dagli occhiali con cui scegliamo di guardarla, se scivoliamo nella spettacolarizzazione e nell’emotività, dobbiamo sapere che lo facciamo a discapito di un sano confronto con ciò che accade, dobbiamo capire che stiamo venendo meno al racconto di una storia umana nel rispetto della sua assoluta unicità e sacralità…”*

Queste parole sono più che mai attuali in questo periodo in cui l’umanità vive in continua incertezza, si confonde tra le notizie e non riesce a trovare una giusta posizione. Sono state dette circa 3 anni fa in un contesto molto diverso, ma mi sono subito calzate a pennello e penso che in molti le condividano.

Ascoltiamo, ma ascoltiamo anche il nostro cuore, ciò che è giusto per noi. Evitiamo di farci sommergere in un mondo di parole dette da chiunque, diamo considerazione solo alle notizie ufficiali. Le limitazioni fisiche non possono bloccare la mente ed il suo giudizio.

Siate giudiziosi dicevano i miei quando noi ragazzi uscivamo. Non c’era bisogno di dire altro. Ed oggi essere giudiziosi ha un grande significato. Cerchiamo di esserlo tutti per noi e per gli altri.

*Don Ivan Maffeis, direttore del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali della CEI, durante la presentazione del libro I germogli della Buona notizia, che si è tenuto presso la sede della Facoltà di scienze della Comunicazione della Ups a maggio del 2017.

Il significato di una stretta di mano

Una stretta di mano sembra qualcosa di scontato quando si incontra qualcuno eppure è un gesto acquisito in millenni di storia ed evoluzione e deriva dal nostro “embrione animale”.

Secondo Wikipedia  “La stretta di mano è  un gesto  con valenze per lo più  di saluto ma che può essere utilizzato anche per indicare ringraziamento, accordo, congratulazioni.

Si effettua tra due persone che si porgono e afferrano reciprocamente la mano (di norma la destra), effettuando spesso con le mani così unite un movimento più o meno marcato in su e in giù. È un gesto molto antico e comune a numerose culture”

Per alcuni studiosi quel gesto così raffinato ed elegante non è altro che l’evoluzione dell’annusarsi degli animali! Dietro quindi convenevoli e buone maniere l’uomo conserva la sua parte animale. Tale consuetudine, esclusivamente umana, secondo i ricercatori del Weizmann Institute di Israele  ha basi etologiche confermate da  una serie di esperimenti.

Attraverso la pelle scambiamo anche il nostro odore che influenza il comportamento e le interazioni sociali.

Con una stretta di mano ci si scambia l’odore (anche se si indossano dei guanti) per cui per vie subliminali  vengono influenzati comportamento ed interazioni sociali .

Secondo la ricerca citata:

“Studiando il comportamento di 280 volontari con telecamere nascoste, i ricercatori hanno osservato che dopo la stretta di mano l’istinto è quello di annusarsi le mani, seppure impercettibilmente, per entrare in contatto con l’odore dell’altro. O con il proprio: quando si stringe la mano a una persona dello stesso sesso l’istinto animale ci spinge ad annusare la mano destra (con cui si è fatto il gesto), mentre di fronte a un individuo del sesso opposto tendiamo a cercare rassicurazioni nel nostro odore, annusando la mano sinistra che ha evitato il contatto”.

Se non ci credete…Fateci caso!

“Mettersi nei panni dell’altro”: il significato di Empatia

L’empatia è la capacità di “mettersi nei panni dell’altro” percependo, in questo modo, emozioni e pensieri. E’ un termine che deriva dal greco, en-pathos “sentire dentro”, e consiste nel riconoscere le emozioni degli altri come se fossero proprie, calandosi nella realtà altrui per comprenderne punti di vista, pensieri, sentimenti, emozioni e “pathos”.

L’empatia è un’importante competenza emotiva grazie alla quale è possibile entrare più facilmente in sintonia con la persona con la quale si interagisce.

L’empatia è un’abilità sociale di fondamentale importanza e rappresenta uno degli strumenti di base di una comunicazione interpersonale efficace e gratificante. Nelle relazioni interpersonali l’empatia è una delle principali porte d’accesso agli stati d’animo e in generale al mondo dell’altro. Grazie a essa si può non solo afferrare il senso di ciò che asserisce l’interlocutore, ma si coglie anche il significato più recondito psico-emotivo. Questo ci consente di espandere la valenza del messaggio, cogliendone elementi che spesso vanno al là del contenuto semantico della frase, esplicitandone la metacomunicazione, cioè quella parte veramente significativa del messaggio, espressa dal linguaggio del corpo, che è possibile decodificare proprio grazie all’ascolto empatico.

Agli inizi del Novecento, Lipps introduce la dimensione dell’empatia in psicologia, parlando di partecipazione profonda all’esperienza di un altro essere, introducendo così il tema dell’alterità, che verrà poi ripreso dalla scuola fenomenologica. Per Lipps l’osservazione dei movimenti altrui suscita in noi lo stesso stato d’animo che è alla base del movimento osservato, tuttavia questo stato non viene percepito come una propria esperienza, ma viene proiettato sull’altro e legato al suo movimento (non ci si perde nell’altro); si tratta di empatia come partecipazione o imitazione interiore.

Freud (1921) afferma che è solo per mezzo dell’empatia che noi possiamo conoscere l’esistenza di una vita psichica diversa dalla nostra: non considera l’empatia come un metodo terapeutico, solo Kohut farà questo passaggio molti anni dopo.  Kohut, infatti, considera l’empatia non solo come uno strumento di conoscenza, ma anche come un importante strumento terapeutico: l’esposizione ripetuta a esperienze di comprensione empatica, da parte dell’analista, serve a riparare i “difetti del Sé” del paziente. Nel 1934 Mead aggiunge al costrutto di empatia una componente cognitiva.

Secondo la teoria dei neuroni specchio, elaborata dal gruppo di Rizzolatti, l’empatia nasce da un processo di simulazione incarnata (Gallese, 2006) che precede l’elaborazione cognitiva.

Fassino(2009) evidenzia poi come nell’attivazione dell’empatia si realizzi: un processamento delle emozioni dal basso verso l’alto, nell’esperienza di condivisione delle emozioni altrui, e un processamento delle emozioni dall’alto verso il basso, attraverso il controllo delle funzioni esecutive, che permette di regolare e modulare l’esperienza di condivisione.

Fonte web

L’impossibilità di NON comunicare

Vorrei oggi soffermare l’attenzione su una proprietà del comportamento umano in apparenza ovvio e quindi trascurato: il comportamento non ha un suo opposto. Per dirla in parole semplici non esiste un “non comportamento” quindi non è possibile NON avere un comportamento.

Se consideriamo il comportamento all’interno di una interazione si comprende che acquista il valore di messaggio ovvero il comportamento è comunicazione, quindi per quanto possiamo sforzarci è impossibile non comunicare. Le parole o il silenzio, l’attività o il suo contrario tutto ha valore di messaggio di conseguenza creano influenza sull’altro che a sua volta non può non rispondere. L’uomo che guarda fisso davanti a sé mentre fa colazione in un bar o quello che sta seduto in treno con gli occhi chiusi entrambi comunicano che non vogliono essere disturbati, che non vogliono che qualcuno gli rivolga la parola. In genere chi è vicino “risponde” al messaggio non coinvolgendolo in chiacchiere o attività. Non possiamo dire che questa non sia comunicazione al pari di uno scambio animato di idee.

Non si può neanche asserire che sia comunicazione solo quella intenzionale, conscia ed efficace, quando c’è comprensione reciproca. Infatti sul problema della comunicazione fraintesa si sono scritti volumi in quanto la comunicazione contiene proprietà formali e a volte ci troviamo di fronte a  problematiche indipendentemente da quello che erano le intenzioni o motivazioni dei comunicanti.

Ciò riveste particolare importanza nella patologia in quanto le assurdità, il silenzio, il ritrarsi, l’immobilità ed ogni forma di diniego sono anch’essi comunicazione che può essere interpretata come evitamento della comunicazione, ma che diventa immancabilmente una forma di comunicazione essa stessa.

Da:

Pragmatica della comunicazione umana

ed. L’astrolabio