Essere giudicato e giudicarsi: preserva la tua Autostima (con un piccolo esercizio)

Che cosa si intende con il termine “giudizio” in psicologia? Possiamo definirlo come la capacità di combinare qualità personali e conoscenze acquisite tramite l’esperienza: fattore indispensabile per creare opinioni e poter prendere decisioni.

Tecnicamente la parola giudizio, quindi, ha implicazioni positive: avere capacità di giudizio serve a fare scelte migliori, ma nell’utilizzo quotidiano la parola giudizio assume in sé connotazioni negative. C’è chi giudica il nostro operato, il nostro fisico, il nostro modo di parlare, i nostri amici: in effetti parlando di giudizio si pensa solo a queste situazioni!

Non solo il giudizio viene dall’esterno, ma molto spesso il più spietato è quello che viene dall’interno ovvero da come noi stessi ci giudichiamo e di solito siamo giudici implacabili! Sentirsi giudicato ed autogiudicarsi sono fattori che vanno ad influire sulla nostra Autostima e questo non è mai positivo.

In molti casi chi è oggetto di giudizio tende a darsi tutte le colpe se qualcosa non va. Ovvero tende a darsi il 100% della colpa: in poche parole un eccesso di giudizio al negativo che annienta l’autostima. Sebbene valga la massima “chi è causa del suo mal pianga se stesso” non sempre “la colpa” sta da una sola parte ed è importante comprendere di quale percentuale siamo responsabili e quale ad imputare ad altre persone o fattori!

Quando parliamo di autostima ci riferiamo ad una situazione di auto- consapevolezza in cui la persona è soddisfatta, riconosce le proprie capacità e valore in merito a vari aspetti della sua vita. Quando si parla di autostima è qualcosa che è dentro di noi e siamo noi a doverla difendere a volte proprio da noi stessi!

Immaginate l’autostima come un muretto. Nel corso della vita mettiamo mattoncini aumentando la stabilità del muretto. I primi mattoncini li mettiamo con l’aiuto delle persone che si prendono cura di noi a cominciare dalle prime fasi della nostra esistenza. E’ lì che mettiamo le fondamenta: attraverso il riconoscimento di noi come persone  e dei nostri bisogni  ed in seguito  delle nostre capacità da parte delle persone che ci vogliono bene. Se in queste prime fasi non riceviamo abbastanza rinforzi positivi crescendo avremo più difficoltà nello sviluppo della nostra autostima, ma non è impossibile. Ogni volta che ci mettiamo alla prova e vinciamo mettiamo un mattoncino, anche se perdiamo ma abbiamo imparato qualcosa, possiamo aumentare la nostra autostima. E’ importante dare a noi stessi input positivi ogni giorno, senza basarci esclusivamente su ciò che gli altri ci riportano.

PRATICA:

-Pensa all’ultima esperienza o ad una recente che ti ha particolarmente toccato e  che hai vissuto in modo negativo tanto da sentirti “sbagliato” o “in colpa”.

-Vai più in profondità: osserva la situazione “da fuori” e cerca di notare se ad una situazione o una o più persone in qualche modo si può imputare una parte di responsabilità.

-Fai un elenco attribuendo a persone o situazioni la percentuale di responsabilità che tu gli attribuisci. Il tuo nome mettilo per ultimo!!!

Ti consideri ancora responsabile al 100% di quella situazione fastidiosa? Puoi fare qualcosa, affinché in una situazione simile tu possa comportarti in modo diverso e quindi avere una sensazione diversa? Rispondi con sincerità e se vuoi puoi scrivermi in privato e ti risponderò!

Valutare o criticare? Il giudizio che fa male

Il giudizio è insito nella natura umana, ha una sua funzionalità che dalla notte dei tempi ad oggi ci ha permesso di adattarci. Giudichiamo costantemente anche quando questo porta a delle conseguenze con noi stessi e con le persone con cui ci relazioniamo. Astenersi dal giudizio è una pratica incoraggiata da tutte le discipline di derivazione orientale ed il non giudizio è uno dei sette pilastri della mindfulness.

Sembra che nella vita di noi occidentali il giudizio faccia da padrone nei nostri rapporti interpersonali anche quando “palesemente” ci fa star male.

Esistono persone pagate per decidere il valore di un immobile, un gioiello, il costo di una ristrutturazione. Professionisti che seguendo dei parametri stabiliti da un certo settore “monetizzano” oggetti o lavori e fin qui nulla da eccepire. Non ci sentiamo svalutati come persone se un perito valuta la nostra macchina o la nostra casa meno di quello che pensavamo anche se possono essere piene di ricordi ed emozioni poiché si riferiscono a prezzi di “mercato”.

Nel nostro quotidiano riceviamo comunque “valutazioni” non richieste e spesso inopportune specialmente se riguardano il nostro corpo. Essere troppo magro, troppo grasso, avere i brufoli, piedi o denti grossi spesso è fonte di commenti che sono vissuti sempre come critica.

Sei dimagrita, sei ingrassata, non mangi nulla? hai mangiato troppo…. Frasi dette spesso in modo spontaneo, ma che rivelano invidia e giudizio.

Chi ha problemi ad accettare il proprio corpo o parti di esso è molto suscettibile ai commenti che riceve. Vi faccio un esempio pratico: se una persona si percepisce grassa, indipendentemente se lo è o meno nella realtà, ed incontra nella sua giornata nove persone che le dicano quanto stia bene non le prenderà in considerazione, ma se arrivata alla sera ne arriva una che dice: ti sei ingrassata? Questo farà crollare tutto il suo mondo, poichè sarà la conferma ai suoi pensieri.

La gente spesso parla a vanvera, molte volte è cattiva. Ne fanno le spese le persone con scarsa autostima che faticano a prendersi in carico, a volersi bene ed accettarsi per quello che sono (alte, basse, magre, grasse, capaci o non capaci a fare qualcosa!!).

Per questo dovremmo fare attenzione al nostro atteggiamento giudicante che si inserisce come un pilota automatico sia che stiamo osservando persone in costume mentre siamo al mare sia se stiamo sorseggiando un aperitivo durante lo struscio! L’atteggiamento giudicante s’insinua anche in famiglia tra i coniugi o tra genitori e figli. Un figlio che si sente sempre valutato, è contemporaneamente svalutato, e potrà decidere di dare il massimo per avere la vostra approvazione o fare il minimo indispensabile, perché tanto non servirà a cambiare il giudizio dei grandi. Sarà difficile per lui confrontarsi in modo maturo nel mondo adulto, perché crederà di non essere mai abbastanza e il non impegno, e quindi il non risultato, lo confermerà!

Bisognerebbe impegnarsi a comprendere le conseguenze delle nostre parole o comportamenti e rieducarli sulla base dell’affetto e del rispetto verso un’altra persona. Certo ognuno ha il diritto di pensarla come vuole o avere le proprie opinioni, ma se non sono direttamente richieste magari a volte è meglio “trattenersi”.

Sembra quindi chiaro che un atteggiamento giudicante ha un effetto negativo sulle nostre relazioni. Dalle critiche all’arrabbiatura al non salutarsi più il passo è spesso breve! Imparate a focalizzarvi sui fatti senza giudicarli e senza giudicare chi la pensa diversamente da te.

Le emozioni possono fuorviarci se rimaniamo in un atteggiamento giudicante spesso siamo assaliti da una sensazione sgradevole, o farci sentire tristi o incompresi.

Rimanere fermi in posizione giudicante significa anche non imparare nulla di nuovo. L’incapacità di vedere con occhi diversi impedisce di trovare nuove soluzioni e quindi portare al cambiamento. 

Imparare il non giudizio è comunque possibile se applicato quotidianamente. Iniziamo ad osservarci riconoscendo i pensieri giudicanti e come si presentano, se riusciamo a descrivere i fatti reali (quelli percepibili dai nostri 5 sensi per essere precisi!), se riconosciamo le emozioni che ne derivano. Pronti a lavorare?

Storia con morale (giugno)

In un villaggio viveva un vecchio molto povero, ma perfino i re erano gelosi di lui perché aveva un bellissimo cavallo bianco; non si era mai visto un cavallo di una simile bellezza, una forza, una maestosità… i re offrivano prezzi favolosi per quel cavallo, ma l’uomo diceva a tutti: “Questo cavallo non è un animale per me, è come una persona. E come si può vendere una persona, un amico?”. L’uomo era povero, la tentazione era forte, ma non volle mai vendere quel cavallo.

Un mattino scoprì che il cavallo non era più nella stalla. L’intero villaggio accorse e tutti dissero: “Vecchio sciocco! Lo sapevamo che un giorno o l’altro ti avrebbero rubato il cavallo. Sarebbe stato molto meglio venderlo. Potevi ottenere il prezzo che volevi. E adesso il cavallo non c’è più, che disgrazia!”.

Il vecchio disse: “Non correte troppo! Dite semplicemente che il cavallo non è più nella stalla. Il fatto è tutto qui: il resto è solo giudizio. Se sia una disgrazia o meno non lo so, perché questo è solo un frammento. Chissà cosa succederà in seguito?”. Ma la gente rideva, avevano sempre saputo che era un po’ matto.

Dopo quindici giorni, una notte, all’improvviso il cavallo ritornò. Non era stato rubato, era semplicemente fuggito, era andato nelle praterie. Ora non solo era ritornato, ma aveva portato con sé una dozzina di cavalli selvaggi.

La gente di nuovo accorse e disse: “Vecchio, avevi ragione tu! Quella non era una disgrazia. In effetti si è rivelata una fortuna”.

Il vecchio disse: “Di nuovo state correndo troppo. Dite semplicemente che il cavallo è tornato, portando con sé una dozzina di altri cavalli… chissà se è una fortuna oppure no? È solo un frammento. Fino a quando non si conosce tutta la storia, come si fa a dirlo? Voi leggete solo una parola in un’intera frase: come potete giudicare tutto il libro?”.

Questa volta la gente non poteva dire nulla, magari il vecchio aveva ragione di nuovo. Non parlavano, ma nell’intimo sapevano bene che il vecchio aveva torto: dodici bellissimi cavalli, bastava domarli e poi si potevano vendere per una bella somma.

Il vecchio aveva un unico figlio, un giovane che iniziò a domare i cavalli selvaggi. E dopo una sola settimana, cadde da cavallo e si ruppe le gambe. Di nuovo la gente accorse, dicendo: “Hai dimostrato un’altra volta di avere ragione! Non era una fortuna, ma una disgrazia. Il tuo unico figlio ha perso l’uso delle gambe, ed era l’unico sostegno della tua vecchiaia. Ora sei più povero che mai”.

Il vecchio disse: “Sempre a dare giudizi, è un’ossessione. Non correte troppo. Dite solo che mio figlio si è rotto le gambe. Chissà se è una disgrazia o una fortuna?… non lo sa nessuno. È ancora un frammento, non ne sappiamo mai di più…”.

Accadde che qualche settimana dopo il paese entrò in guerra, e tutti i giovani del villaggio furono reclutati a forza. Solo il figlio del vecchio fu lasciato a casa perché era uno storpio. La gente piangeva e si lamentava, da ogni casa tutti i giovani erano stati arruolati a forza, e tutti sapevano che la maggior parte non sarebbe mai più tornata, perché era una guerra persa in partenza, i nemici erano troppo potenti.

Di nuovo, gli abitanti del villaggio andarono dal vecchio e gli dissero: “Avevi ragione, vecchio: la tua è stata una fortuna. Forse tuo figlio rimarrà uno storpio, ma almeno è ancora con te. I nostri figli se ne sono andati, per sempre. Almeno lui è ancora vivo, a poco a poco ricomincerà a camminare, magari solo zoppicando un po’…”.

Il vecchio, di nuovo, disse: “Continuate sempre a giudicare. Dite solo che i vostri figli sono stati obbligati a partire per la guerra, e mio figlio no. Chi lo sa… se è una fortuna o una disgrazia. Nessuno lo può sapere veramente. Solo dio lo sa, solo la totalità lo può sapere”.

Non giudicare, altrimenti non sarai mai unito alla totalità. Sarai ossessionato dai frammenti, vorrai trarre delle conclusioni basandoti solo su dei particolari. Una volta che hai espresso un giudizio, hai smesso di crescere. Di fatto, il viaggio non finisce mai. Un sentiero finisce, e ne inizia un altro. Una porta si chiude, e un’altra se ne apre…