I disturbi dell’alimentazione ai tempi del Covid 19

Siamo di fronte ad una vera e propria epidemia. Tra il 2019 ed il 2020 c’è stato un incremento dei disturbi dell’alimentazione del 30%. Le fasce più colpite quella dei giovani e dei giovanissimi. Lo dice una ricerca condotta in Italia nel periodo di riferimento dal Ministero della Salute e che saranno pubblicati a breve in modo ufficiale.

Durante il lockdown di 10 mesi fa abbiamo tutti sperimentato quando il cibo potesse rappresentare un conforto. Attorno al tavolo si sono riunite famiglie nei tre pasti principali per quasi tre mesi, mentre “prima” si era fortunati se ci si incontrava almeno a cena. Le nostre abitudini sono cambiate radicalmente. Alcune persone uscivano più volte al giorno per fare la spesa, in realtà volevano solo respirare un po’ d’aria. Inizialmente si è fatto tutti indigestione di serie televisive e generi mangerecci non particolarmente raccomandati. Hanno iniziato a rivolgersi all’asporto anche quelli che fino a quel momento non avevano ceduto alla novità. Per settimane il lievito non si trovava, così come la farina e siamo stati tutti a creare pizza party virtuali e cimentarci con torte e biscotti , ma poi il cibo ha smesso di essere un genere di conforto e abbiamo iniziato a fare i salutisti.

Evitati accuratamente gli scaffali di dolciumi e patatine abbiamo cercato di mangiare sano e recuperato piano piano il peso forma. Per altri le cose sono andate diversamente. Alcune persone nella convivenza obbligata hanno cominciato a mangiare in modo compulsivo, chi a bere andando oltre i limiti.

I bambini ed i ragazzi tra i 12 ed i 14 anni hanno subito maggiormente la situazione. Privati del contatto fisico e dell’interazione, quelli che evidentemente stavano già sotto soglia, sono aumentati di peso oppure sono stati colpiti da anoressia nervosa o di alimentazione selettiva.

La chiusura per mesi interi di certe strutture di riferimento ha poi peggiorato la situazione. Infatti per poter controllare i disturbi dell’alimentazione è necessario riconoscerne i segnali e non sottovalutarli e richiedere un aiuto che più tempestivo risulta maggiori saranno i risultati ottenuti. Purtroppo la persona colpita o le famiglie, quando si tratta dei giovani, non si rendono conto di essere malati fino a quando la sintomatologia inizia ad interferire nel quotidiano ad esempio con litigi al momento del pasto.

Se siamo sensibilizzati al problema sicuramente si può fare più attenzione alle variazioni di peso anomale o alle dispercezioni corporee presentate da un soggetto (si vede troppo grasso, non gli piace la pancia, il seno ecc.. in modo ossessivo) sono di auto dei percorsi di educazione alimentare per la famiglia.

Spesso tali disturbi si presentano quando in famiglia c’è già almeno un componente che soffre di un disturbo dell’alimentazione (anche in modo latente) ed in questo caso un percorso psicologico è sempre raccomandato prima che alcuni comportamenti si radicalizzino.

Puoi leggere questo articolo anche nella mia rubrica Mind&Food su RomaOggi.eu

Mindful Eating: Riconnettersi con il proprio corpo

Tra le nuove tendenze per la gestione dei disturbi dell’alimentazione, con particolare riferimento all’aumento del peso e all’incapacità a seguire una dieta, segnalo la Mindful Eating…

Si stima che il 50-60% della popolazione manifesti un qualche comportamento alimentare disfunzionale, rientrando nella categoria di quella che comunemente viene definita “fame nervosa” o “fame emotiva” e che a quattro anni e mezzo dalla conclusione di una dieta, mediamente, le persone mantengono una perdita di soli 3 kg, ovvero il 3,2% della riduzione del peso iniziale. La percentuale di persone che hanno mantenuto la perdita di peso, varia da meno del 3%, se consideriamo il mantenimento del 100% della perdita di peso, al 28%, se consideriamo un mantenimento di meno del 10% della perdita del peso iniziale, dopo 4 anni (Priya Sumithran P., Proietto J., 2013).

Chi soffre di fame nervosa soffre di dis-regolazione emotiva: non riconosce le emozioni, le confonde con la fame e, di conseguenza, mangia in maniera smodata, non tollerando le emozioni negative. Un’altra caratteristica di questa popolazione è la presenza di credenze rigide (i cosiddetti pensieri “tutto o nulla”), accompagnata da ruminazione o soppressione del pensiero (“Non devo pensare al cioccolato”). Di conseguenza, si osserva un tipico circolo vizioso, caratterizzato da restrizione cognitiva e comportamentale rispetto al cibo con conseguente sovra-alimentazione e nuova restrizione (quello che altrove abbiamo chiamato “L’effetto paradosso della restrizione alimentare”).

La Mindful Eating insegna ai pazienti:

  • a osservare i pensieri come eventi mentali;
  • la distinzione tra gli aspetti psicologici dell’esperienza emotiva e gli stimoli della fame e della sazietà;
  • l’accettazione delle emozioni come parte dell’esperienza umana, con minore reattività ad esse;
  • la consapevolezza degli stati interni, incrementando il monitoraggio meta-cognitivo;
  • nuove modalità funzionali di interazione col cibo.

Fonte: Formazione Continua in Psicologia