Non soffocate il dolore

La società giudica una persona sofferente come debole, incapace di rialzarsi. Spesso chi sputa queste sentenze sta anch’egli soffrendo ma, semplicemente, non vuole farlo vedere. Giudicare il dolore altrui ci fa sentire forti, superiori. Ma non lo siamo.

Non nascondete la sofferenza, non vergognatevene. Non siete deboli, al contrario, siete più forti di quelli che vi danno dei falliti. Smettete di ignorare ciò che reclama la vostra attenzione: so che è più facile distrarsi, guardare dall’altra parte, ma bisogna smettere di soffocare il dolore e affrontarlo alla radice.

Altrimenti ci sentiremo sempre incompleti, smaniosi di acquisire nuovi beni e successi che ci aiutino ad attenuare il dolore. Ma finché non cambieremo mentalità, non smetteremo mai di soffrire. La nostra natura non ci impone di essere completi, ma di prendere decisioni, entrare in connessione con la nostra forza emozionale e godere del presente.

DA NON DIMENTICARE…

* Non fuggite dalle avversità.

* Non isolatevi.

* Non rassegnatevi all’impotenza.

* L’avversità presuppone un cambiamento.

* Pensate di avere di fronte una sfida.

Concentrate l’attenzione sul lungo periodo.

Indirizzate l’energia sul breve periodo.

Cambiate ciò che si può, accettate il resto.

Analizzate il vostro dialogo interiore.

Trasmettete serenità a chi vi circonda.

Prendete personalmente le vostre decisioni.

Coltivate l’ottimismo.

Considerate l’avversità come un’opportunità per cambiare la stra vita.

Trovate una valvola di sfogo per le vostre emozioni.

Non correte rischi inutili.

Tratto dal libro Kintsukuroi di Tomas Navarro. Ve ne ho parlato su questo blog!

La lettura, la sofferenza e la condivisione

In questi giorni mi è ricapitato tra le mani un grazioso libricino di cui voglio oggi condividere alcune righe e fare delle considerazioni con voi. Abbiamo visto in precedenza come la lettura sia importante e “salvifica” per l’anima umana, la cultura, nonché la comprensione del mondo. Questo libricino è edito da “Il Saggiatore”  e s’intitola “Piccolo galateo illustrato per il corretto utilizzo dei libri”. Da diligente e curiosa lettrice non me lo sono fatto scappare perché avevo intuito che dietro quella copertina e quel titolo c’era molto e di più profondo di quanto apparisse al primo sguardo. C’è un capitolo in particolare su cui mi vorrei soffermare perché parla di sofferenza. Sofferenza ed emozioni. L’autore racconta:

“…per strane ragioni gli usi e i costumi della società in cui cresciamo hanno individuato nella sofferenza, nel pianto, nel dolore, dei sinonimi di fragilità e debolezza. Eppure, non è stato sempre così.

All’inizio della letteratura occidentale, nell’Iliade e nell’Odissea, il rapporto con il pianto era decisamente diverso. E lo spiega benissimo Helene Monsacrè nel suo splendido saggio, le Lacrime di Achille, in cui descrive attentamente tutte le occasioni in cui i fieri eroi immaginati da Omero piangono a dirotto: Achille, Ettore, Ulisse. Nessuno è risparmiato dalle lacrime, ma questo non testimonia mancanza di forza: anzi, dà segno dell’estrema vitalità che li anima… sembra che Omero abbia voluto dirci che solo i veri eroi sanno piangere…I tempi cambiano e su molte piattaforme social la categoria “Books that make you sob” (libri che fanno piangere) sta prendendo largo spazio…alcuni libri insegnano a dire il dolore, a dargli una forma, che ci restituiscono l’orgoglio delle ferite che ci portiamo addosso. Sono libri che ci aiutano a confessarlo innanzitutto alle pagine, intime di qualche lacrima, e poi al mondo. Come forma necessaria di catarsi…attraverso le ferite e il dolore, troviamo spesso la giusta occasione per comprendere qualcosa di più di noi, su come muoverci in questo universo dalla più varia umanità e dai più variopinti oggetti…quel dolore ci appartiene. Appartiene alla letteratura quanto all’umanità, perché entrambe condividono le stesse ferite. Il nostro essere umani ci permette di viverlo, la letteratura ci permettere di riconoscerlo…

Leggere rispecchia la nostra esigenza di avere qualcosa in più rispetto alla nostra semplice vita, rispecchia la nostra esigenza di somigliare agli altri, riuscire a essere anche un po’ di loro, per vivere più intensamente il mondo che abitiamo. E per questo non bisogna avere paura. Né di vivere, né di leggere”.

Non avrei saputo dirlo meglio, spero che risuoni dentro di voi.

Sofferenza: parliamone!

Tutti gli uomini soffrono. Si soffriva nel passato e si soffrirà nel futuro. Soffrono i ricchi ed i poveri. La sofferenza accumuna tutti e non fa sconti a nessuno. In Occidente abbiamo un modo molto particolare di affrontare la sofferenza: tendiamo a chiuderci. Tendiamo ad identificarci con la sofferenza:  “Io soffro, io soffro molto, ho avuto tante sofferenze nella mia vita” sono alcune delle frasi che si ripetono nella testa. Si inizia a pensare alla propria vita fino alla propria infanzia in cui l’identificazione con la sofferenza prende una posizione predominante: “perché proprio a me, perché devo soffrire? Invecchiare? Morire?”

Lasciarsi andare a questi pensieri porta a seri problemi di personalità!

La sofferenza va lasciata andare e non trattenuta. Dobbiamo esserne coscienti, vedendo la sofferenza e non identificandosi con la sofferenza. C’è un problema, bisogna riconoscerlo, ma senza identificarsi altrimenti tutto diventa confuso. Bisogna distinguere tra: i miei problemi /sofferenza ed i miei pensieri sulla mia sofferenza   altrimenti tutto nello stesso calderone porta ad ulteriori pensieri deleteri con critica e giudizio.

Quando siamo colpiti dalla sofferenza il primo istinto è che vogliamo eliminarla. Arriva il problema e ce ne dobbiamo sbarazzare più in fretta possibile. Vogliamo essere contornati solo da cose belle e neghiamo a noi stessi che esiste la sofferenza, la noia, la vecchiaia. Viviamo continuamente negando queste realtà e quando accadono fatti che ce le fanno incontrare non siamo pronti.

Bisogna imparare a guardare la sofferenza ad accettarla: con-prendere. Spesso tendiamo a dare la colpa ad altri della nostra sofferenza. E’ possibile che oggi come in passato qualcuno ci abbia arrecato danno e dolore, ma il pensiero che sta dietro spesso non è la sofferenza, ma l’odio o la rabbia. In una giornata sono mille le cose che ci danno “urto” . Cose assolutamente innocue del genere: come parla una persona, come cammina o come ci guarda. Quella persona di fatto non ci ha fatto alcun male, eppure ci stiamo soffrendo.

Questo è un esempio in cui la sofferenza per un pensiero o un’azione deve essere distinta! A volte soffriamo per cose che sono solo nella nostra testa e quella persona che parlava, guardava  o camminava magari non ci ha neanche visto.

E’ importate riflettere sulle cose che suscitano in noi indignazione o rabbia e chiedersi: ma c’è davvero qualcosa di sbagliato? Molte volte siamo noi stessi causa della nostra sofferenza perché non distinguiamo gli stati interni dalla reale situazione esterna. Riusciamo a creare processi così complicati e tornate lì con i pensieri e a specularci sopra fino a farli diventare insopportabili. Si rimuginano pensieri ed azioni correlate e si giudicano. Questo modo di fare riporta sempre alla sofferenza da cui noi stessi non ci permettiamo di uscirne. Nella cultura occidentale abbiamo da una parte la cultura del piacere che porta ad una ricerca del piacere fine a se stesso e a negare le sofferenze e da un’altra parte la cultura religiosa che dice che per raggiungere qualsiasi soddisfazione dobbiamo fare sacrifici e soffrire!

Come uscire da questo loop? Dobbiamo riuscire ad essere consapevoli delle varie situazioni della vita nella loro interezza e nei loro opposti : eccitazione e noia, vita e morte, piacere e dolore, speranza e disperazione…

Dovremmo apprezzare e gioire alla vita con le sue innumerevoli sorprese con la stessa intensità in cui soffriamo in caso di malattia solo così c’è un equilibrio. Invece diamo per scontate le cose di tutti i giorni e ci disperiamo quando queste non ci sono; in questo non c’’è equilibrio, ma profonda tristezza e sensazione di vuoto. Spesso ci complichiamo la vita con pensieri altamente critici verso noi stessi e le nostre incapacità. Diamo precedenza ai dovrei ed ai non dovrei, ma non ci ascoltiamo mai veramente per capire di cosa abbiamo davvero bisogno per essere felici. A volte ci diamo rispose semplicistiche o diamo colpa agli altri per nostre scelte ed anche questo ci riempie di rabbia e sofferenza. Mantenendo vecchi schemi mentali si rimane risucchiati in un vortice inutilmente doloroso che non ci fa né gioire né vedere le cose positive che ci accadono.

Alcune cose accadono, perchè accadono ed i pensieri non possono diventare ossessioni perché questi ci impediscono poi di lasciare andare.